Un viaggio attraverso la Storia
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L'impossibile corsa Pechino - Parigi...
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Il ventesimo secolo era appena iniziato e molta gente non credeva che le automobili di quel tempo potessero competere con i cavalli, sui quali si poteva sempre contare. C'era però, uno sparuto gruppo di automobilisti che la pensava diversamente, per cui, per risolvere la questione il giornale francese "Le Matin" propose una prova di resistenza: da Pechino a Parigi in automobile...
Per tre quarti del percorso calcolato da 13.000 a 16.000 km non c'erano strade ma solo carovaniere, piste nelle foreste, valichi montani. Se una vettura fosse riuscita a compiere questo tragitto, ammazza-telai, l'automobile avrebbe avuto un avvenire...
Presero parte alla sfida due Boiton francesi guidate dai meccanici della fabbrica, una Spyker olandese guidata da Jean Goddard, una sei cavalli Contal a tre ruote guidata da August Pons, e infine un'Itala da quaranta cavalli con il principe Scipione Borghese, il suo autista Ettore Guizzardi e il giornalista Luigi Barzini...
Il principe Borghese a cavallo fece un giro di esplorazione di 500 km sulle montagne, disponendo depositi di benzina, di pneumatici e pezzi di ricambio a intervalli regolari lungo il percorso. Fino alla frontiera siberiana i rifornimenti furono portati da Pechino con carovane di cammelli, poi da Mosca con la ferrovia siberiana...
Il piccolo corteo d'automobili partì la mattina del 10 giugno 1907 dalla Concessione francese a Pechino preceduto dalla banda militare e con il lancio di razzi di buon augurio dai cinesi...
Le montagne che separano la Cina settentrionale dalla pianura della Mongolia presentavano spaventose difficoltà, strette piste scavate nella roccia passavano sull'orlo di abissi che parevano senza fine, ma se scalare le montagne era difficile, discenderle era ancora peggio...
Alla fine del quinto giorno, Borghese in testa aveva percorso solo 250 km, e il temuto deserto di Gobi si estendeva dinanzi a loro, Pons capì che il suo triciclo non ce l'avrebbe fatta e tornò indietro, gli altri decisero di tentare la sorte...
Iniziarono la traversata della distesa sabbiosa seguendo la linea telegrafica, con il motore che bolliva e consumava acqua preziosa, potabile di riserva. La benzina portata con le carovane li aspettava nel piccolo abitato di Pong-Hong, raccolto intorno a un pozzo in mezzo al deserto...
Dopo due giorni di difficile marcia Borghese giunse a una cittadina russa di frontiera e da lì pensò che sarebbe stato più facile con le carte russe che segnavano le strade attraverso la Siberia, strade che purtroppo esistevano solo nelle menti dei cartografi. La strada militare che esisteva un tempo era stata abbandonata dopo la costruzione della ferrovia transiberiana. Decine di fiumi intersecano la Siberia e i ponti rimasti sulla vecchia strada erano sul punto di crollare...
Quando i ponti non c'erano più i fiumi erano passati a guado trainati da cavalli, tolti il magnete e parti elettriche delicate. A volte si utilizzano i ponti della Transiberiana, roba da far drizzare i capelli: le ruote della macchina da un lato all'interno della rotaia e dall'altro all'esterno a pochi centimetri dal bordo non protette...
il 20 luglio la vettura semi anfibia arrivò a un'obelisco di marmo nell' Urali che recava un indicazione: da una parte la scritta Asia dall'altra Europa. Dopo un'altra settimana l'Itala entrava in Mosca, le altre tre arrancavano ancora attraverso la Siberia. Alle 16 del 17 agosto 1907, 61 giorni dopo essere partita da Pechino l'Itala entrava a Parigi, vincendo una gara il cui percorso si estendeva per quasi la metà del globo...
Letto e riassunto da " L'impossibile corsa" di J.D Ratcliff
Genocidi dimenticati o, oscurati...
Storie terribili che la maggior parte di noi ignora. Quegli eventi oscuri in cui l'umano con la sola legge della propria forza ne sottomette o ne elimina altri con la più crudele efferatezza...
Quella volta che l'Italia disse di no all'America...
... La notte di Sigonella, la notte in cui un aereo con a bordo i dirottatori della nave italiana Achille Lauro, atterra nella base NATO di Sigonella e il presidente del consiglio italiano, Bettino Craxi, dice no all’America...
Re: Un viaggio attraverso la Storia
Una Storia di Uomini che preferirono morire che perdere dignità e onore...
Il cacao sua lontana storia...
L’avventura del cioccolato inizia in America, molto tempo fa quando ancora quel continente non portava il nome attuale...
Sembra che i primi a gustare la piacevolezza del cioccolato fossero stati i Maja e gli Aztechi. Con i semi del cacao, che secondo loro provenivano direttamente dal paradiso, preparavano una bevanda chiamata “xocoati”...Il primo europeo a conoscere il cacao fu certamente Cristoforo Colombo che non ebbe l’intuizione dell’importanza della sua scoperta, infatti lo portò in Europa, ignorando tutta la lavorazione e il cioccolato non incontrò molto successo.
Qui, entra in gioco Fernando de Cortes, cne nel 1519 gustò la bevanda alla corte di Montezuma, decidendo di farla conoscere al suo re, Carlo V, non senza prima informarsi su tutti i segreti della pianta degli dei...Da allora, per quasi cento anni il cacao fu monopolio degli spagnoli...
In Italia l'uso del cacao fu introdotto da Emanuele Filiberto di Savoia, reso poi famoso fra l'aristocrazia piemontese, mentre Anna d'Austria, sposa di Luigi XIII lo portò in Francia, paese dove nel 1770 nasceva la prima fabbrica per la lavorazione del cacao...
Dalla corte al clero,l’uso del cacao, andava diffondendosi a tutti quei ceti che se lo potevano permettere...
Ultima modifica di Annali il Lun Giu 15, 2020 1:05 am - modificato 1 volta. (Motivazione : corretti vari refusi...)
Culture preincaiche...
Che gli Inca giunsero per ultimi è un dato di fatto...
Prima di loro si svilupparono molte meravigliose civiltà, per cui, è ovvio ritenere che quasi tutto nel Perù fosse antecedente agli Inca...
La sequenza di culture che si sono succedute nel corso di millenni è stata solamente intravista dai reperti riportati in luce dagli scavi archeologici, poiché con il loro arrivo, la civiltà degli Inca prevalse su tutte le altre, manipolandone e cancellandone il ricordo storico...
Gli Inca vittoriosi non organizzarono soltanto le terre e le popolazioni, ma anche i ricordi...
La storia ufficiale, che prima del loro arrivo il Sudamerica era un vuoto culturale, fu imposta a tutti i popoli conquistati, inducendoli ad abbandonare ogni loro tradizione orale. La manipolazione selettiva della storia doveva rappresentare gli Inca come gli unici portatori di cultura. La storia del Perù non aveva un linguaggio scritto, in questo modo si rese possibile lasciar cadere nell’oblio tutte le altre storie preincaiche...
Quanto all’epoca, non esistono cenni storici riguardo al Perù che permetta di risalire a date precise, tuttavia gli archeologi hanno ottenuto qualche progresso, sciogliendo almeno approssimativamente le divisioni spaziotemporali di queste culture preincaiche. Per mezzo dei disegni sulla ceramica ritrovata con gli scavi, si è potuto dare luogo a un’ampia successione cronologica della cultura...
Verso il 1500 a.C. l’uomo si trova già da lungo tempo sulla costa desertica settentrionale del Perù, possiede l’arte della tessitura e della ceramica, costruisce edifici, coltiva il granoturco e raccoglie il tubero della manioca. Non è stato il primo però, poiché altri vi furono prima di lui, come dimostrano le prove con il carbonio 14, che ne rivela la presenza fin dal 3000 a.C.
La prima cultura di rilievo è quella Chavin, il cui motivo ricorrente è un Dio Gatto dall’aspetto feroce, trovato su oggetti di ceramica, su pietra e nei tessuti. Il centro di Chavin è la località di Chavin de Huantar, situata in una vallata delle Ande al di là della Cordillera Blanca, dove si trovano avanzi di imponenti edifici con mura di pietra ben collocate, decorate con teste umane e da animali scolpiti nella pietra e sistemati nel muro...
Tra il 400 a.C. e il 400 d.C., si succedono molte culture ampiamente diffuse. Di quella Paracas, che si trova a sud di Lima, nella zona di Prisco, non si conosce il nome tribale né altro di più sicuro, se non la prova della sua esistenza nel deserto vicino al mare della penisola Paracas. In profonde stanze sotterranee furono trovati oltre 400 involucri contenenti mummie, i cui corpi ripiegati, erano ornati di scialli splendidamente lavorati, di turbanti e di vesti con raffinati colori policromi...
I Paracas, che non compaiono in nessuna cronaca tramandata né vengono nominati dagli Inca, usarono per la mummificazione la sabbia del deserto...
La bella Gigogin
Identificare il Risorgimento con il testo di una canzone? Presto fatto: La Bella Gigogin!
Fu suonata per la prima volta il 31 dicembre 1858, al teatro Carcano di Milano, alla vigilia della Seconda guerra d’indipendenza. Secondo la tradizione la canzone suscitò un tal entusiasmo che fu ripetuta per ben otto volte,cantata anche per sfida, davanti al palazzo del viceré austriaco. La Ricordi pubblicò la canzone ma il governo austriaco la sequestrò. Secondo le testimonianze “La bella Gigogin” fu cantata durante la battaglia di Magenta, nel 1859, 4 giugno, dove si fronteggiavano le truppe francesi contro quelle austriache. In breve la canzone divenne il canto patriottico più popolare, eseguito in ogni occasione delle spedizioni di Garibaldi.
Chi era la bella? Si racconta fosse una giovane uscita da sotto le barricate di Porta Tosa, durante le cinque giornate di Milano, del 22 marzo ’48, vestita con un giubbotto degli stivaloni e una lunga gonna. A chi le chiedeva il nome, rispondeva: Gigogin. Era fuggita dal collegio per combattere insieme ai volontari. Un giorno uno dei capi le affidò un messaggio urgente per il leggendario colonnello dei bersaglieri La Marmora. Lei andò in prima linea a Goito per soccorrere e rifocillare i soldati. Il suo coraggio la spinse a percorrere le terre occupate dagli austriaci cantando”Daghela avanti un passo” (ossia fa un passo avanti contro l’oppressore).
Nessuno seppe mai, il suo vero nome, né se la Bella Gigogin fosse mai esistita veramente.
Re: Un viaggio attraverso la Storia
Come si viveva ai tempi dell'URSS???
Così:come ce la racconta la deliziosa "девушка" (signorina)
Così:come ce la racconta la deliziosa "девушка" (signorina)
Christiania, il luogo dell'Utopia
Christiania, è un “libero stato” fondato nel 1971 dagli hippies di Copenhagen.
Suo primo simbolo è la statua della Libertà, ma niente a che vedere con quella di New York e non sorge in mezzo mare, ma in stradina un po’ fuori mano. Il suo corpo è fatto di fil di ferro, la fiaccola priva di fiamma e nella mano brandisce una stanga che finisce in una lama di falce… insomma è una polemica statua della libertà.
I giovani utopisti, figli dei fiori dai lunghi capelli biondi erano convinti che Gesù Cristo fosse stato un precursore di Che Guevara, di Jimmi Hendrix o di Mark.
La nuova città, sorta nell’area di una vecchia caserma abbandonata nel quartiere di Christianhavn, attirò l’attenzione di buona parte di mondo: fu citata ad esempio, esaltata, vituperata, considerata il germe di una libera società, visitata da sociologi e agenti di polizia.
Fu condannata come ricettacolo di vizi e di nociva anarchia, di trasgressione di ogni sano e principio morale…poi quasi di colpo, sparì dalla scena, come non fosse mai esistita.
Varcato l’esile confine della stradina, avanzando fra i relitti di quella naufragata Utopia, in uno spiazzo di terra battuta che conduce alla città di Christiania, tra cani vaganti, cataste di biciclette disfatte e muraglie decorate di affreschi ormai invecchiati, in un angolo riparato appare un nostalgico barcone che da tempo non vede più il mare, con la scritta “Arca di Noè II”.
Re: Un viaggio attraverso la Storia
La storia anche attraverso la fotografia, testimonianza del nostro e dell'altrui vissuto...
Ultima modifica di Annali il Sab Giu 25, 2022 1:05 am - modificato 1 volta.
Chi fa la Storia?
I testi di storia attribuiscono il merito delle grandi imprese agli dèi, agli eroi, ai monarchi… e l’uomo comune si pone una domanda comune che tuttavia, costituisce un modo nuovo di considerare la storia: e i popoli, la gente di tutti i giorni non trovano posto nel libro della Storia? Non gli schiavi che hanno trascinato pietre per innalzare muri, monumenti, palazzi e cattedrali… Non i nomi dei morti che le guerre si prendono… C’è chi ricorda i pianti delle madri e dei figli, le sofferenze degli umili che eseguirono i grandi piani dei grandi uomini.
Ogni pagina della storia contiene una domanda e in questa, una protesta e un ammonimento da non dimenticare mai…
Tebe dalle sette porte, chi la costruì?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
Babilonia distrutta tante volte,
chi altrettante la riedificò ? In quali case,
di Lima lucente d’ oro, abitavano i costruttori?
Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia,
i muratori? Roma la grande
è piena d’ archi di trionfo. Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio
aveva solo palazzi per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide,
la notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando
aiuto ai loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’ India
da solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse quando la flotta
gli fu affondata. Nessun altro pianse?
Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi
oltre a lui l’ ha vinta?
Una vittoria ogni pagina.
Chi cucinò la cena della vittoria?
Ogni dieci anni un grand’ uomo.
Chi ne pagò le spese ?
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
Babilonia distrutta tante volte,
chi altrettante la riedificò ? In quali case,
di Lima lucente d’ oro, abitavano i costruttori?
Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia,
i muratori? Roma la grande
è piena d’ archi di trionfo. Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio
aveva solo palazzi per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide,
la notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando
aiuto ai loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’ India
da solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse quando la flotta
gli fu affondata. Nessun altro pianse?
Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi
oltre a lui l’ ha vinta?
Una vittoria ogni pagina.
Chi cucinò la cena della vittoria?
Ogni dieci anni un grand’ uomo.
Chi ne pagò le spese ?
Quante vicende,
tante domande.
tante domande.
Bertolt Brecht
Le donne dell'antica Grecia
La bellezza soprattutto
Abiti colorati attraverso cui s’indovinavano le forme del corpo; lunghi capelli ornati di cerchi e diademi; profumi a profusione. Soprattutto visi truccati con grande maestria.
Essere belle era l’obiettivo fondamentale per la donna greca, risultare attraenti agli occhi del proprio marito.
In primo piano era l’attenzione alla cura del viso, per ottenere una pelle pulita, idratata e profumata. Sul corpo praticavano una specie di peeling esfoliante spargendosi addosso olio d’oliva e poi passandovi sopra la pietra pomice, dopodiché era la volta del lavaggio e dell’applicazione di unguenti profumati. Gli aromi solitamente usati erano quelli di cedro, mirra, rosa, viola.
L’arte e la letteratura dell’antica Grecia rappresentavano le donne con la carnagione molto chiara, di colore bianco latteo. Il candore della pelle esaltava la bellezza e ne indicava la purezza. Inoltre, era anche il colore che conferiva alla donna le qualità di cui doveva disporre per attrarre un uomo e quindi svolgere la sua funzione riproduttiva.
In sintesi, l’idea era che più chiara fosse stata la carnagione della donna, più sarebbe apparsa femminile e dunque ancor più feconda. Nel mondo greco, la maternità era considerata fondamentale per il mantenimento della comunità, compito non meno importante di quello della sua difesa.
Le donne, convinte che il candore della pelle accentuasse la femminilità, non lesinavano sui prodotti che adattassero il loro aspetto all’ideale indicato, ignorando la tossicità di tali prodotti. Infatti, sul viso, applicavano il “bianco di piombo”, un carbonato molto comune, il cui impiego prolungato distruggeva la struttura della pelle. Era molto dannoso inghiottendone soltanto alcune particelle che interagivano con gli acidi gastrici.
Anche il prodotto usato per tingere le labbra e le guance era molto tossico, il solfuro di mercurio, chiamato “polvere di cinabro”.
Per gli occhi, la parte del viso che più doveva risaltare, si usava il carbone per i bordi delle palpebre, tratteggiato lateralmente per farli apparire più grandi. Sulle palpebre superiori e inferiori si usavano vari colori, i rossi e i verdi i preferiti.
L’antimonio serviva per scurire le sopracciglia e infine, i capelli, resi brillanti e lucidi con speciali tinture.
Se nelle donne la carnagione chiara era un pregio, per gli uomini s’indicava invece una pelle scura rossiccia quale sinonimo di bellezza maschile, un ideale diversificato legato ai differenti ruoli assegnati ai due sessi per il buon funzionamento della polis.
Il maschio svolgeva i compiti all’aria aperta come coltivatore o come cittadino soldato, mentre la donna aveva il compito non meno importante della maternità, della produzione tessile, la preparazione del cibo e l’amministrazione della casa e del patrimonio di famiglia.
L’attenzione rivolta all’esaltazione del viso aveva risvolti simbolici, poiché era tesa ad apparire perfetta per avvicinarsi alle immagini divine, prive di imperfezioni.
Desenzano del Garda - storia delle origini
Le origini del nome di Desenzano sono state fatte risalire al nome di un Decentius, nome tardo romano.
Sono le origini più accreditate insieme a quelle attribuite alla famiglia degli Abidii, da qui secondo alcuni storici in antico Desenzano si sarebbe chiamato Abidius.
Nel primo secolo d.C. Desenzano non era altro che un piccolo villaggio collocato sull’ampio
golfo del Benacus.
Gli scavi operati nella zona del Borgo regio a nord della Villa Romana, fanno pensare che nella cittadina esistessero importanti insediamenti, essendo la località toccata da una delle arterie importanti dell’impero, la via Flaminia, detta Gallica.
Su questa importante arteria erano dislocate le “mansio”, cioè stazioni dove gli imperatori e i loro dignitari si fermavano durante i loro viaggi. Fungevano anche da magazzini militari, presieduti da un Decurione detto Preposito.
Durante l’impero di Alessandro Severo queste mansio rivestivano importanza considerevole, infatti, egli prescrisse che queste vie consolari fossero considerate specie di stazioni di ristoro per le sue milizie.
Altro interessante servizio era quello costituito da un insieme di cassette di sicurezza, collocato in appositi edifici ( altare o edicola), posti agli incroci delle strade principali e difesi da corpi di guardia.
Ben presto, quando le terre occidentali del Benaco furono ascritte alla Tribù Fabia, divennero soggiorno molto ricercato da ricchi cittadini romani, i quali costruirono su queste rive ville lussuose e fastosi templi che videro ospiti illustri come Cesare nella dimora di Catullo a Sirmione, quando dalle provincie cisalpine si trasferiva nelle provincie transpadane percorrendo la Via Emilia.
Per questa via consolare, nel 249 d.C., Traiano Decio, nominato al trono dalle sue coorti, passò per giungere in Germania ad attaccare i Goti che premevano alle frontiere dell’impero.
Il transitare degli eserciti, per la popolazione della riviera benacense rappresentava la rovina, poiché le milizie romane di quei tempi erano in maggior parte formate da barbari che dove passavano lasciavano spesso brutti ricordi.
Nel 312 d.C., il proconsole dell’Illiria, Ruricio Pompejano, scorrazzava in lungo e in largo con il suo esercito nella regione, per cui Costantino sceso dalla Gallia lo raggiunse e lo sconfisse dopo cruenta battaglia, sulle colline di Desenzano, precisamente a San Martino e Solferino, dove, molti secoli dopo,( 1859) si svolse una grande famosa battaglia risorgimentale.
In onore di Costantino lungo la Via Emilia, furrono collocate pietre miliari, una delle quali oggi custodita nel museo di Verona.
Il Borgo regio è la parte più antica della città, dove si trova il vasto complesso archeologico.
Nella parte alta, esisteva un recinto fortificato (castrum) più volte rimaneggiato nei secoli e portato fin su, a ridosso del castello che domina il Lago.
Ho riportato nel modo più breve possibile, le notizie intorno alle vicende storiche di Desenzano in epoca romana, che sicuramente non bastano a descriverne l’importanza storica e archittettonica di questo antico centro, in un periodo forse poco conosciuto e valorizzato.
Il Castello
Fatti e personaggi più o meno storici
Il “boia” di Roma
Negli anni in cui Roma era governata dai vari Papa Re (che si succedettero fino al 1870), le leggi dello Stato della Chiesa, istituite su elementi di codice civile e religioso, erano tanto rigide con il popolo e con i liberali quanto erano permissive con la nobiltà, soprattutto quella imparentata con esponenti dell’alto clero.
A Roma dal 1796 al 1864, le frequenti esecuzioni “papali” erano eseguite da Giovanni Battista Bugatti, il cui nomignolo “mastro Titta” divenne leggendario nel corso di un'attività durata 68 anni, durante la quale mise in atto 516 condanne (o giustizie, come si preferiva chiamarle allora).
È da lui che il termine "Mastro Titta" cominciò a essere usato a Roma come sinonimo di boia, che pur professando un mestiere terrificante, svolgeva il suo dovere con un distacco e una professionalità esemplari.
Altra sua attività quando non impegnato a tagliare teste o smembrare corpi per conto di papi reggenti, Mastro Titta si dedicava nella sua bottega situata non distante dai palazzi pontifici, a riparare ombrelli o in mansioni di verniciatura.
Il “Boia di Roma” andò in pensione all'età di 85 anni, e per gli altri cinque che ancora visse gli fu riconosciuta una pensione per i molti servizi svolti (come da documento ufficiale), che prendeva molto sul serio: all'alba dei giorni fatidici (la maggior parte delle esecuzioni aveva luogo di mattina presto) indossava un mantello scarlatto e "passava solennemente il ponte", dirigendosi, cioè, nella sponda orientale del Tevere, dove si tenevano le esecuzioni.
Aveva anche un registro della sua attività, nel quale scrupolosamente riportava date, nomi e motivi per cui era richiesta la sua opera. Così annotò l’inizio della sua attività: “Esordii nella mia carriera di giustiziere di sua santità impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati”.
I popoli del mare
Il termine “Popoli del Mare” fa riferimento a un gruppo composto di dieci popolazioni provenienti dall’Europa meridionale, una sorta di confederazione, che sul finire dell’Età del Bronzo, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale, invase l’Anatolia, la Siria, Palestina, Cipro e l’Egitto.
Le fonti antiche più importanti nelle quali sono citati i Popoli del Mare sono l’Obelisco di Biblo, databile tra il 2000 e il 1700 a.C., le Lettere di Amarna, la Stele di Tanis e le iscrizioni del faraone Merenptah.
I “Popoli del Mare” sono oggetto di dibattito tuttora in corso tra gli studiosi di storia antica.
Si tratta, in effetti, di un gruppo umano di cui si sa pochissimo, la cui scarsità di notizie ha favorito il fiorire di numerose di teorie e ipotesi, non si conosce il loro luogo di origine e nemmeno che fine abbiano fatto.
Alcuni indizi suggeriscono invece che per gli antichi egizi l’identità e le motivazioni di queste popolazioni erano note. Le poche informazioni che se hanno, provengono da fonti dell’antico Egitto risalenti alla 19° dinastia.
In realtà, le fonti egizie descrivono tali popoli solo dal punto di vista militare. Sulla stele di Tanis si legge un’iscrizione attribuita a Ramses II:
«I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli».
I resoconti di Ramses sulle razzie dei Popoli del Mare nel mediterraneo orientale sono confermati dalla distruzione di Hatti, Ugarit, Ashkelon e Hazor.
Molte delle invasioni dell’epoca, non erano soltanto operazioni militari ma erano accompagnate da grandi movimenti di popolazioni per terra e mare, alla ricerca di nuove terre in cui insediarsi.
La partenza di Garibaldi
“ Fu notato da noi che dopo l’ingresso del re di Napoli, la stampa officiale più non fece moto di Garibaldi, e parve che coloro i quali circondavano Vittorio Emanuele si adoprassero a far dimenticare un passato che sembrava far ombra moltissimo al presente.
Tardava a costoro il far dimenticare che da Marsala a Capua avean corso di vittoria in vittoria le lacere torme dei volontari, e che i due regni e la superba città di Napoli li avea messi tra le mani di Vittorio Emanuele quell’audace”avventuriero”che si chiama Giuseppe Garibaldi. Il nostro compito era finito, ma non ne veniva per conseguenza buona e legittima che ci si considerasse, così dall’oggi al domani, come “limoni ormai spremuti” e non buoni che a gettar via. Noto specialmente quelle tre parole, perché è fama che fossero pronunziate da Garibaldi nell’accomiatarsi dall’ammiraglio Parsiano, il quale, più affettuoso e meno altero di molti altri, s’era recato a dirgli addio. Vidi Garibaldi pochi momenti innanzi che partisse: era calmo e sorridente secondo il solito, ma qualche suo detto rivelò ciò che ognun di noi sentiva in cuor suo: lasciava Napoli contento di se stesso e di noi, ma tutt’altro che soddisfatto del modo con cui l’avean trattato coloro che erano onnipotenti presso il re, e che potevano chiamarsi i “nuovi padroni….” Lo vedemmo imbarcare e rimanemmo a contemplarlo con gli occhi pieni di lacrime: ritto sulla barca ed agitante il fazzoletto per salutarci ancora, mentre la robusta voga di sei marinai lo allontanava dalla spiaggia.
Il piroscafo che lo accolse per trasportarlo a Caprera si chiamava Washington, e parve che il destino volesse affratellati quei due nomi gloriosi. Il Washington fu salutato dalle salve del naviglio da guerra inglese ancorato nel golfo, ma le navi regie italiane non fecero mostra di accorgersi della partenza dell’uomo che aveva liberata mezza Italia.”
( Giuseppe Bandi. I Mille )
Quanti erano i Mille?
“ Non si è mai potuto stabilire con precisione il numero dei volontari che seguivano Garibaldi.
Anche l’elenco ufficiale, compilato nel 1878, che comprende 1088 uomini e una donna (Rosalia Montmasson, moglie di Crispi) è risultato inesatto. Sembra che il numero effettivo fosse superiore di qualche unità. Circa tre quarti dei Mille(questo termine entrò nell’uso più tardi) erano lombardi. (434, dei quali 180 bergamaschi), veneti (194 compresi i trentini) e liguri (156 quasi tutti genovesi). Tra i nuclei regionali minori i più numerosi erano i toscani (78, in grande maggioranza livornesi e maremmani) e i siciliani (45, in maggioranza di Palermo e provincia )
(Candeloro. Storia dell’Italia moderna)
Lemuria e Mu - Mitici continenti scomparsi
Lo scienziato britannico, Philip Sclater, zoologo, (1813) fu sorpreso di trovare fossili di lemuri sia in Madagascar, (dove ancora vivono questi primati), sia in India, ma non nella vicina Africa. Allora ipotizzò l’esistenza di un continente che univa le due regioni, poi scomparso in seguito a un cataclisma: “Lemuria”, sprofondato in fondo al mare nella notte dei tempi..
Agli inizi del 1800, la teoria della deriva dei continenti, non era ancora stata formulata e neppure quella della tettonica a placche.
Poi, le nuove conoscenze si distaccarono dalle teorie di Sclater, e di Lemuria s’impadronì Helena Blavatski, filosa esoterica ucraina, fondatrice della Società teosofica, che dopo averla trasferita nel Pacifico, ne fece il luogo d’origine di una delle sue dottrine che popolano la Terra. Fu così che Lemuria, entrò nel lessico dell’occultismo, insieme a un’altra terra misteriosa: il continente Mu.
All’origine di Lemuria, vi fu comunque una teoria scientifica basata su presupposti sbagliati, mentre Mu, nacque da un errore. Convinto della sua passata esistenza, fu James Churchward, colonnello in pensione, che, viaggiando, aveva udito molti racconti a proposito di continenti sommersi.
Scrisse un libro “Mu: The lost Continent”, pubblicato nel 1926, dove descrive un continente situato nel Pacifico, tra le isole Hawaii e le isole Fiji. Si convinse della sua esistenza soprattutto leggendo la traduzione del codice Troano, un manoscritto maya dell’epoca precolombiana, decifrato dall’archeologo Charles Etienne Brasseur circa settanta anni prima, dove si parla della terra sprofondata in seguito a un cataclisma citandone il nome: Mu. Si scoprì in seguito, che il codice era stato tradotto in modo sbagliato, che parlava di astronomia e non dell’esistenza di Mu. Tuttavia, l’idea del continente sommerso persiste.
Il mito di Atlantide, il continente scomparso oltre le Colonne di Ercole, è ancora il più famoso, ma non certo l’unico.
Sono miti radicati in molte tradizioni, che resistono anche quando le evidenze scientifiche ne negano i presupposti.
Evidenze scientifiche? Nel mondo esistono luoghi tanto misteriosi, quanti non potremmo immaginarne…..
Viaggi epici :la flotta di Zheng He
Nella Cina al tempo della dinastia Ming, fu costruita una flotta di grandi navi che sarebbe rimasta ineguagliabile per i successivi cinque secoli. La ricca flotta contava forse oltre 200 navi, al comando di un musulmano della Cina sud-orientale: Zheng He.
Come risultato degli epici sette viaggi effettuati fra il 1405 e il 1433, nazioni che si trovavano oltre l’orizzonte e all’estremità della Terra, furono assoggettate alla dinastia imperiale Ming.
Come conseguenza della missione di Zheng He, decine di governanti inviarono da tutto l’oceano Indiano ambasciatori in Cina, per rendere omaggio all’imperatore.
La flotta aveva anche l’obiettivo di trasportare le magnifiche lacche, porcellane e sete, vendute nei porti nei quali attraccava, ritornando in Cina con gemme, avorio, spezie, legni tropicali, persino una giraffa che, fece non poco scalpore. Attraverso tali scambi commerciali e culturali il mondo esterno alla Cina conobbe lo straordinario livello di civiltà raggiunto da quel paese nel XV secolo.
Secondo i resoconti storici della dinastia Ming, le navi dei tesori di Zheng He sarebbero state insolitamente grandi: 136 metri di lunghezza per 65 di larghezza. Dimensioni, queste, che lasciano perplessi gli esperti, poiché, a quanto si conosce, le navi di legno più lunghe di novanta metri sarebbero strutturalmente deboli.
Nella flotta composta di circa 200 navi alcune erano da guerra, mentre altre trasportavano acqua, cavalli, vettovaglie, 27.000 uomini fra marinai, funzionari governativi, soldati, mercanti, addetti riparazioni e altri.
Quei viaggi spettacolari non continuarono a lungo, avendo la Cina, abbandonato la sua politica culturale e commerciale verso altri paesi, non avendo più desiderio di guardare otre i propri confini. Un nuovo imperatore, coadiuvato da consiglieri confuciani, cercò di isolare il paese dalle influenze esterne. La splendida flotta divenne così una cosa del passato, le navi messe in disarmo e le cronache dei loro viaggi distrutte.
Solo in anni recenti, dentro e fuori la Cina, sono state portate a conoscenza le gesta di Zheng He, che con le sue gigantesche navi solcava i mari, dai porti dell’estremo Oriente e dell’Oceano Indiano, fino alla costa dell’Africa orientale.
Ricorrenze…Il “putsch dell'agosto 1991” in Russia
La notte fra il 18 e 19 agosto 1991 Michail Gorbaciov fu sequestrato con la sua famiglia nella casa dove stava trascorrendo le vacanze. In quei giorni stava prendendo forma un nuovo patto federativo dell’URSS per cambiare la propria denominazione ufficiale da “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche” ad altra definizione, con l’adesione di dodici dei paesi facenti dell’URSS.
Pochi mesi prima anche il 70% dei cittadini sovietici chiamati alle urne si era espresso favorevoli a una rinnovata idea di Unione.
Per impedire a Gorbaciov di prendere parte alla firma, fu trattenuto contra la sua volontà in Crimea, con un colpo di stato ordito dagli alti gradi del partito, timorosi delle incombenti novità.
Una conferenza stampa comunicò la falsa notizia sullo stato di salute di Gorbaciov e sulla sua impossibilità di governare il paese. Nel frattempo a Mosca giravano i carri armati con i moscoviti riuniti attorno alla sede del governo cercando di capire cosa stesse succedendo. Temevano il pericolo del ritorno al totalitarismo vissuto fino alla perestroica di Gorbaciov, ma Boris Eltsin, contrario al colpo di stato, con la sua forte presa di posizione agì da stimolo sulle forze armate che rifiutarono l’ordine programmato dai golpisti di assalire il parlamento, disponendosi a difenderlo con i carri armati.
Tre giorni dopo Gorbaciov fu liberato, si dimise da presidente dell’URSS e da quel momento il grande paese chiamato “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche” smise di esistere.
Little big horn, la fine dei sogni di gloria di Custer
Storia :battaglia del Little big Horn 25 giugno 1876
Bene appassionati di storia e del west, ci siamo andremo a raccontare le ultime fasi
della battaglia più famosa del west.
Riepilogo.
Il territorio conteso era quello delle "Colline nere" (black Hills) nel Montana (a N degli USA).
Chiamate colline nere perchè ricche di alberi e vegetazione.
Ma oltre agli alberi c'era anche l'oro. Purtroppo per gli indiani.
Migliaia di cacciatori d'oro si riversarono nella zona in cerca di fortuna. E questa agli indiani non stava bene, che li attaccavano.
Il Governo americano quindi mandò l'esercito (U.S. Army e la Cavalleria U.S.Cavalry) a ristabilire l'ordine.
Il Ten.Col. George Armstrong Custer comanda il 7th Cavalry di stanza a Fort Abram Lincoln. Deve ricongiungersi con la fanteria di Dei gen. Terry e Gibbon (non lo farà).
Sotto il suo comando 12 Compagnie (Squadrons).
Sabato sera (24/6) pianifica l'attacco : divide il reggimento (meglo il battaglione considerate le compagnie ridotte di numero) in tre parti : 5 sotto il comando di Custer, 3 sotto il magg.Reno e 3 con il cap.Benteen. La 4a Rimane nelle retrovie
con i muli ed le vettovaglie.
Domenica mattina, Custer decide di sferrare l'attacco, alle 13 avvista gli indiani.
Fa caldo, è estate piena, tra le rocce e il deserto roccioso.
Le guide indiane avvertono Custer, che "laggiù gli indiani sono più numerosi delle cartucce di tutti i soldadi blu".
"Donnicciole!" sembra aver detto Custer. "Siete delle donnicciole!".
Intanto le compagnie di Reno sono attaccate da centinaia o forse migliaia di indiani.
I guerrieri attaccano gridando LAKOTA..LAKOTA oppURE HOKA HEY HOKA HEY.
Armati di archi e frecce, lance, pugnali, asce e qualche fucile preso ai bianchi chissà dove o venduto da farabutti assieme al wisky di pessima qualità.
Reno è in preda al panico, si rifugia con i suoi uomini in un boschetto e non si muoverà più. Verrà accustato di codardia, e morirà anni dopo alcolizzato.
Gli indiani aggrediscono i soldati nei pressi di un fiumiciattolo e li fanno a pezzi (stanno ancora bevendo, diranno poi).
Verso le 14 gli indiani di cavallo pazzo attaccano la colonna di Custer, che non si aspettava una reazione simile.
Sono migliaia urlanti e aggressivi.
Cavallo Pazzo incita i suoi guerrieri, vuole che il nemico (soldati) non faccia il quadrato, ma che si sparpagli in gruppi isolati per essere meglio colpiti.
Pomeriggio del 25/6, Custer è circondato, capisce che la situazione è ormai drammaticamente compromessa. Chiama il trombettiere Jhon Martin (Giovanni Martini, ex Garibaldino italiano, arruolato nell'US Army).
Martini non sa l'inglese, un ufficiale gli scrive l'ordine : Beenten accorri, porta munizioni.
Martin come un fulmine si parte alla volta del cap. Benteen. Le pallottole gli fischiano tutto intorno, passa in mezzo a nugoli di indiani che non lo inseguono credendolo un fuggiasco pauroso.
Venti minuti di corsa fino a fare scoppiare il cavallo, e Martini raggiunge Benteen e riferisce l'ordine.
Ma Benteen non può muoversi è intrappolato. Uscire allo scoperto sarebbe un suicidio per lui e i suoi uomini.
Martini sarà l'unico sopravvissuto della colonna di Custer.
Intorno alle 16,30 Custer e gli ultimi superstiti si rifugiano su di una altura, in cerchio si difendono come possono.
cadono uno ad uno. Custer impugna una pistola, al centro del cerchio, vicino alle bandiere del reggimento.
Ha una divisa chiara fuori ordinananza (sembrerebbe dai dipinti), con frange. Spara con la sua rivoltella. Incita gli uomini a resistere, sa che benteen da li a pochi minuti sarà accorso in aiuto. Ce la faranno.
I soldati blu sparano ai cavalli, si riparano dietro ad essi, E sparano con i loro fucili springfield. I sergenti sparano con le loro pistole.
Molti si suicidano per paura di finire torturati dagi indiani.
Molti impazziti dal terrore alzano le mani, chiedono pietà (Pity us, prisoners Lakotas), di essere fatti prigionieri.
Gli indiani non avranno pietà e non faranno prigionieri.
Sulla collinetta intorno alle 17,30 non c'è più nessuno vivo tra i soldati blu.
Gli indiani, cominciano il loro triste e macabro rituale. Scotennano, mutilano, sventrano i cadaveri. Li spogliano completamente portandosi via pantaloni, giacche blu, cappelli, orologi, collanine etc. etc.
Parte della famiglia di Custer muore su quella collinetta : il fratello TOM CUSTER trovato completamente svuotato nel cadavere. Il marito della sorella di Custer perirà pure lui.
Quanti sono i caduti americani? Non lo sapremo mai con esattezza. Gli indiani e le loro donne infatti, sventravano e mutilavano i cadaveri (secondo l'uso indiano) portandosi via parti dei corpi come trofei.
Oltre 260 sicuramente oltre civili (giornalisti) e guide indiane.
Gli indiani adesso contano di aggredire e distruggere le altre compagnie di Reno e Benteeen.
Ma gli viene difficile, infatti i soldati sono arrocatti nel boschetto e protetti da foglie, alberi e rocce.
Sta calando la notte. L'attacco cessa.
Rientra anche DE RUDIO, l'italiano complice di felice Orsini che aveva partecipato all'attentato contro Napoleone III, Felice Orsini verrà giustiziato. De Rudio condannato ai lavori a vita, poi rocambolescamente emigrerà negli USA e si arruolerà nell'US Army.
Altri italiani presenti non parteciperanno alla battaglia forse perchè nelle infermierie e altri al seguito del magg. Mc Douglas, di scorta alle salmerie.
Il giorno seguente gli indiani si ritirano, hanno avvistato la fanteria di Terry-Gibbon (oltre 4.000 uomini).
Gli scout di Terry troveranno sul piano e sulla collinetta luogo sel massacro, i corpi dilaniati dei soldati.
Occorreranno Giorni per seppellirli e bruciare il materiale abbandonato.
Solo Custer verrà trovato nudo ma integro.
Non si saprà mai perchè. Forse si è suicidato pochi attimi prima di essere catturato.
Molti indiani reclameranno l'uccisione di Custer, nessuna sicurezza però sull'autore.
Verrà ritrovata anche una cavalla, l'unico animale sopravvissuto alla strage.
La follia di Custer e la sua megalomania, lo hanno condotto (con i suoi uomini) al disastro.
I DAKOTA (DA-KO-TAH, trad.AMICI) hanno travolto e distrutta una colonna americana.
IL 4 LUGLIO 1876 gli americani festeggeranno il loro centeneraio con un velo di tristezza.
Nonostante la vittoria, per gli indiani sarà però l'inizio della loro fine.
Migliaia di soldati blu stavolta li inseguiranno fino ai confini del Canada (dove si rifugieranno gli indiani) per rinchiuderli nelle riserve.
Per gli indiani sarà la loro VITTORIA DI PIRRO, inutile ai fini del conflitto con i bianchi. Resterà però scolpita nei loro cuori come la grande vittorio contro l'uomo bianco.
Era il 25 giugno 1876, Domenica.
Bene appassionati di storia e del west, ci siamo andremo a raccontare le ultime fasi
della battaglia più famosa del west.
Riepilogo.
Il territorio conteso era quello delle "Colline nere" (black Hills) nel Montana (a N degli USA).
Chiamate colline nere perchè ricche di alberi e vegetazione.
Ma oltre agli alberi c'era anche l'oro. Purtroppo per gli indiani.
Migliaia di cacciatori d'oro si riversarono nella zona in cerca di fortuna. E questa agli indiani non stava bene, che li attaccavano.
Il Governo americano quindi mandò l'esercito (U.S. Army e la Cavalleria U.S.Cavalry) a ristabilire l'ordine.
Il Ten.Col. George Armstrong Custer comanda il 7th Cavalry di stanza a Fort Abram Lincoln. Deve ricongiungersi con la fanteria di Dei gen. Terry e Gibbon (non lo farà).
Sotto il suo comando 12 Compagnie (Squadrons).
Sabato sera (24/6) pianifica l'attacco : divide il reggimento (meglo il battaglione considerate le compagnie ridotte di numero) in tre parti : 5 sotto il comando di Custer, 3 sotto il magg.Reno e 3 con il cap.Benteen. La 4a Rimane nelle retrovie
con i muli ed le vettovaglie.
Domenica mattina, Custer decide di sferrare l'attacco, alle 13 avvista gli indiani.
Fa caldo, è estate piena, tra le rocce e il deserto roccioso.
Le guide indiane avvertono Custer, che "laggiù gli indiani sono più numerosi delle cartucce di tutti i soldadi blu".
"Donnicciole!" sembra aver detto Custer. "Siete delle donnicciole!".
Intanto le compagnie di Reno sono attaccate da centinaia o forse migliaia di indiani.
I guerrieri attaccano gridando LAKOTA..LAKOTA oppURE HOKA HEY HOKA HEY.
Armati di archi e frecce, lance, pugnali, asce e qualche fucile preso ai bianchi chissà dove o venduto da farabutti assieme al wisky di pessima qualità.
Reno è in preda al panico, si rifugia con i suoi uomini in un boschetto e non si muoverà più. Verrà accustato di codardia, e morirà anni dopo alcolizzato.
Gli indiani aggrediscono i soldati nei pressi di un fiumiciattolo e li fanno a pezzi (stanno ancora bevendo, diranno poi).
Verso le 14 gli indiani di cavallo pazzo attaccano la colonna di Custer, che non si aspettava una reazione simile.
Sono migliaia urlanti e aggressivi.
Cavallo Pazzo incita i suoi guerrieri, vuole che il nemico (soldati) non faccia il quadrato, ma che si sparpagli in gruppi isolati per essere meglio colpiti.
Pomeriggio del 25/6, Custer è circondato, capisce che la situazione è ormai drammaticamente compromessa. Chiama il trombettiere Jhon Martin (Giovanni Martini, ex Garibaldino italiano, arruolato nell'US Army).
Martini non sa l'inglese, un ufficiale gli scrive l'ordine : Beenten accorri, porta munizioni.
Martin come un fulmine si parte alla volta del cap. Benteen. Le pallottole gli fischiano tutto intorno, passa in mezzo a nugoli di indiani che non lo inseguono credendolo un fuggiasco pauroso.
Venti minuti di corsa fino a fare scoppiare il cavallo, e Martini raggiunge Benteen e riferisce l'ordine.
Ma Benteen non può muoversi è intrappolato. Uscire allo scoperto sarebbe un suicidio per lui e i suoi uomini.
Martini sarà l'unico sopravvissuto della colonna di Custer.
Intorno alle 16,30 Custer e gli ultimi superstiti si rifugiano su di una altura, in cerchio si difendono come possono.
cadono uno ad uno. Custer impugna una pistola, al centro del cerchio, vicino alle bandiere del reggimento.
Ha una divisa chiara fuori ordinananza (sembrerebbe dai dipinti), con frange. Spara con la sua rivoltella. Incita gli uomini a resistere, sa che benteen da li a pochi minuti sarà accorso in aiuto. Ce la faranno.
I soldati blu sparano ai cavalli, si riparano dietro ad essi, E sparano con i loro fucili springfield. I sergenti sparano con le loro pistole.
Molti si suicidano per paura di finire torturati dagi indiani.
Molti impazziti dal terrore alzano le mani, chiedono pietà (Pity us, prisoners Lakotas), di essere fatti prigionieri.
Gli indiani non avranno pietà e non faranno prigionieri.
Sulla collinetta intorno alle 17,30 non c'è più nessuno vivo tra i soldati blu.
Gli indiani, cominciano il loro triste e macabro rituale. Scotennano, mutilano, sventrano i cadaveri. Li spogliano completamente portandosi via pantaloni, giacche blu, cappelli, orologi, collanine etc. etc.
Parte della famiglia di Custer muore su quella collinetta : il fratello TOM CUSTER trovato completamente svuotato nel cadavere. Il marito della sorella di Custer perirà pure lui.
Quanti sono i caduti americani? Non lo sapremo mai con esattezza. Gli indiani e le loro donne infatti, sventravano e mutilavano i cadaveri (secondo l'uso indiano) portandosi via parti dei corpi come trofei.
Oltre 260 sicuramente oltre civili (giornalisti) e guide indiane.
Gli indiani adesso contano di aggredire e distruggere le altre compagnie di Reno e Benteeen.
Ma gli viene difficile, infatti i soldati sono arrocatti nel boschetto e protetti da foglie, alberi e rocce.
Sta calando la notte. L'attacco cessa.
Rientra anche DE RUDIO, l'italiano complice di felice Orsini che aveva partecipato all'attentato contro Napoleone III, Felice Orsini verrà giustiziato. De Rudio condannato ai lavori a vita, poi rocambolescamente emigrerà negli USA e si arruolerà nell'US Army.
Altri italiani presenti non parteciperanno alla battaglia forse perchè nelle infermierie e altri al seguito del magg. Mc Douglas, di scorta alle salmerie.
Il giorno seguente gli indiani si ritirano, hanno avvistato la fanteria di Terry-Gibbon (oltre 4.000 uomini).
Gli scout di Terry troveranno sul piano e sulla collinetta luogo sel massacro, i corpi dilaniati dei soldati.
Occorreranno Giorni per seppellirli e bruciare il materiale abbandonato.
Solo Custer verrà trovato nudo ma integro.
Non si saprà mai perchè. Forse si è suicidato pochi attimi prima di essere catturato.
Molti indiani reclameranno l'uccisione di Custer, nessuna sicurezza però sull'autore.
Verrà ritrovata anche una cavalla, l'unico animale sopravvissuto alla strage.
La follia di Custer e la sua megalomania, lo hanno condotto (con i suoi uomini) al disastro.
I DAKOTA (DA-KO-TAH, trad.AMICI) hanno travolto e distrutta una colonna americana.
IL 4 LUGLIO 1876 gli americani festeggeranno il loro centeneraio con un velo di tristezza.
Nonostante la vittoria, per gli indiani sarà però l'inizio della loro fine.
Migliaia di soldati blu stavolta li inseguiranno fino ai confini del Canada (dove si rifugieranno gli indiani) per rinchiuderli nelle riserve.
Per gli indiani sarà la loro VITTORIA DI PIRRO, inutile ai fini del conflitto con i bianchi. Resterà però scolpita nei loro cuori come la grande vittorio contro l'uomo bianco.
Era il 25 giugno 1876, Domenica.
misterred- Messaggi : 142
Data d'iscrizione : 09.07.14
Località : Sacra Vetta
Storia : George Armstrong Custer, eroe o antieroe?
Storia del west : Custer, detto anche Yellow hairs o boy general
Chi era realmente Custer? Si sa che era uno degli undici figli di un fabbro (probabilmente immigrato tedesco).
Sin da piccolo affascinato dalle avventure militari. Si iscrive a West Point. Dicono che sia arrivato l'ultimo. Irascibile, un duro a modo suo.
Grande precisione di tiro e cavaliere instancabile. Fu soprannomibato anche "deretano duro" per via della sua costanza nel cavalcare.
Scoppia la guerra civile americana (Guerra di Secessione".
E Custer fa il salto di qualità.
Tuttavia è coraggiosissimo. Temerario oltremisura. A 26 anni è gia "Brigadier generale.
Pregi e difetti convivevano in questo uomo che aspirava a grandi cose, a traguardi importabntissimi (quali financo la Casa Bianca).
Dicono che amasse gli animali, la famiglia, le arti.
In guerra durissimo con i nemici (faceva impiccare per un nollunna i confederati prigionieri) e con i suoi stessi uomini, ai quali chiedeva addestramento durissimo e sopra ogni resistenza umana.
Implacabile anche con i pellirossa. Sul fiume Wachita compie (secondo lui) una grande impresa, in realtà massacra donne e bambini inermi (nel 1868).
Otto anni dopo ne pagherà il cnto sulle rive di un altro fiume : Il Litle big horn (1876)
Chi era realmente Custer? Si sa che era uno degli undici figli di un fabbro (probabilmente immigrato tedesco).
Sin da piccolo affascinato dalle avventure militari. Si iscrive a West Point. Dicono che sia arrivato l'ultimo. Irascibile, un duro a modo suo.
Grande precisione di tiro e cavaliere instancabile. Fu soprannomibato anche "deretano duro" per via della sua costanza nel cavalcare.
Scoppia la guerra civile americana (Guerra di Secessione".
E Custer fa il salto di qualità.
Tuttavia è coraggiosissimo. Temerario oltremisura. A 26 anni è gia "Brigadier generale.
Pregi e difetti convivevano in questo uomo che aspirava a grandi cose, a traguardi importabntissimi (quali financo la Casa Bianca).
Dicono che amasse gli animali, la famiglia, le arti.
In guerra durissimo con i nemici (faceva impiccare per un nollunna i confederati prigionieri) e con i suoi stessi uomini, ai quali chiedeva addestramento durissimo e sopra ogni resistenza umana.
Implacabile anche con i pellirossa. Sul fiume Wachita compie (secondo lui) una grande impresa, in realtà massacra donne e bambini inermi (nel 1868).
Otto anni dopo ne pagherà il cnto sulle rive di un altro fiume : Il Litle big horn (1876)
misterred- Messaggi : 142
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Località : Sacra Vetta
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