La poesia spagnola
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Re: La poesia spagnola
L’aria è ormai quasi irrespirabile
perché non mi rispondi:
tu sai bene che quello che respiro
sono le tue risposte. E ora soffoco.
La prima domanda che io ti feci
fu quando stavi
con le braccia appoggiate
su una ringhiera di ricordi,
una sera chinata
sul lago azzurro che ti porti dentro,
guardando quattro dubbi
con piume di dolori,
così tacite e bianche come cigni,
che lo solcavano, senza quasi sfiorarlo.
Tu guardavi l’immagine
confusa di te stessa, ti vedevi
lì riflessa, però
con tale tremito, così insicura
del tuo esistere stesso quel che eri,
che te ne andasti via di corsa
per cercare un vestito di pesante
velluto nell’armadio, e per provartelo.
Siccome è fatto a misura,
metterci il corpo dentro
vuol dire per un poco persuadersi
del consolante
e preciso contatto della tela
di cui si vive e di cui siam qualcosa
più di un riflesso tremulo
di cui abbiamo paura, in quel lago.
E ti chiesi: «Cerchiamo insieme?
Quel che si vuol trovare
in acque tanto vaghe ed imprecise
c’è da cercarlo
in aria, verso l’alto.
Perché nel fondo di un lago c’è sempre
o la copia di un angelo o di un dio,
la figura di un essere che là si guarda
dal suo vero essere celeste.
E va cercato dov’è; che se cerchi
come altre ingannate verso il basso,
troverai solamente rami o pietre,
molle fango e anelli arrugginiti.
Dimmi, non vuoi che passiamo negli anni,
negli anni del futuro, come cieli,
in cerca del tuo angelo?
Vuoi che io sia tuo compagno
come per le rondini un’ala
è compagna dell’altra ala?
Io prenderò la via
più rapida che trovi,
anche in un radiogramma, se mi accetti».
Capisco il tuo silenzio. La domanda
l’ho fatta a seimila chilometri
e siccome ho parlato sottovoce
perché non mi sentisse altri che te,
non hai potuto udirmi. E vai avanti
a provarti vestiti che ti calmano.
La seconda domanda, era ottobre,
la scrissi su una foglia di quell’albero
vicino alla tua casa. Tu sentivi
l’autunno che arrivava, quella sera,
in grandi quantità
di vento grigio e di progetti vaghi,
così poco difesa
da una lieve fede nel tuo calore
come la seta delle tue calze.
Il tuo passo affrettato, contro il vento
credeva all’illusione che correndo
all’inizio di ottobre
si arriva subito alla primavera.
Io ti scrissi: «Ho un’estate
che si apre, solo, quando due persone
che amano il verde e che temono il freddo
bussano insieme alla sua porta.
Non c’è altro inverno che la solitudine.
Quel che scioglie la neve è un amore
che si serve del sole come interprete.
Prendi il mio braccio, accogli questo modo
semplice di abolire, insieme, inverno
e solitudine, chiamato amarsi.
Non vuoi che entriamo
in quella festa dei chiarori
che inizia nel formarsi di una coppia,
là dove grazie a certe
sottili trasparenze e velature
di carne o di cristallo, è sempre buio
molto, molto più tardi che nel mondo,
e l’aurora coincide
col primo desiderio della luce?»
L’albero consegnò al momento giusto
il mio messaggio ai tuoi piedi. Hai ricordo
di una foglia che cadde al tuo passaggio,
un tenero rumore sulla terra,
con le sillabe infrante del tuo nome
appena sussurrate e un rotolare
di materia lievissima sui sassi,
che ti veniva dietro, per salvarti
dalle tante inclemenze solitarie?
Tu non hai mai risposto. Sono certo
che tu per evitare di pensarmi hai confuso
quella con qualunque altra foglia
che gli autunni redigono a milioni
per fare volantini dell’assenza.
E la terza domanda te la feci
stando vicini, sì, molto vicini.
Abbracciati eravamo.
Era abbraccio il nostro soffitto,
pareti e pavimento erano abbraccio,
di quel colore intenso
con cui dipinge tutto l’abbracciarsi.
Abbraccio fu la porta da cui entrammo.
La finestra era abbraccio.
La notte, i suoi prati,
il gregge di mansueti grattacieli
che brucavano stelle a collo eretto,
lo vedevamo attraverso l’abbraccio.
La visione era abbraccio e udire abbraccio.
E i nostri sensi erano
talmente stretti gli uni contro gli altri
nell’offrire alla nostra unione le loro differenze,
che mai prima di allora videro
gli occhi quel che vide l’abbraccio.
Per questo io ti chiesi senza voce,
solo stringendo un po’ di più al mio petto
il tuo corpo che i cieli mi prestavano,
se tu sapevi scrivere
promesse coi tuoi occhi
e se nel primo foglio
del primo plico dell’aurora tu
mi volessi tracciare una parola
qualsiasi, per esempio: «eterno».
Avevo brama di sapere
qual è la tua scrittura quando l’anima scrive.
Ma tu non mi hai risposto. Lo capisco.
Ti eri già addormentata sul mio petto;
e la domanda come un’ala si disfece
urtando contro gli occhi ormai serrati.
Qualcuna delle sue parole o piume
— promessa, aurora, eterno — ti sfiorarono
l’anima, sì, ma con dolcezza tale
che tu, credendole
un sogno come tanti, senza domanda,
non hai pensato mai di rispondere a un sogno.
Pedro Salinas
(Traduzione di Valerio Nardoni)
perché non mi rispondi:
tu sai bene che quello che respiro
sono le tue risposte. E ora soffoco.
La prima domanda che io ti feci
fu quando stavi
con le braccia appoggiate
su una ringhiera di ricordi,
una sera chinata
sul lago azzurro che ti porti dentro,
guardando quattro dubbi
con piume di dolori,
così tacite e bianche come cigni,
che lo solcavano, senza quasi sfiorarlo.
Tu guardavi l’immagine
confusa di te stessa, ti vedevi
lì riflessa, però
con tale tremito, così insicura
del tuo esistere stesso quel che eri,
che te ne andasti via di corsa
per cercare un vestito di pesante
velluto nell’armadio, e per provartelo.
Siccome è fatto a misura,
metterci il corpo dentro
vuol dire per un poco persuadersi
del consolante
e preciso contatto della tela
di cui si vive e di cui siam qualcosa
più di un riflesso tremulo
di cui abbiamo paura, in quel lago.
E ti chiesi: «Cerchiamo insieme?
Quel che si vuol trovare
in acque tanto vaghe ed imprecise
c’è da cercarlo
in aria, verso l’alto.
Perché nel fondo di un lago c’è sempre
o la copia di un angelo o di un dio,
la figura di un essere che là si guarda
dal suo vero essere celeste.
E va cercato dov’è; che se cerchi
come altre ingannate verso il basso,
troverai solamente rami o pietre,
molle fango e anelli arrugginiti.
Dimmi, non vuoi che passiamo negli anni,
negli anni del futuro, come cieli,
in cerca del tuo angelo?
Vuoi che io sia tuo compagno
come per le rondini un’ala
è compagna dell’altra ala?
Io prenderò la via
più rapida che trovi,
anche in un radiogramma, se mi accetti».
Capisco il tuo silenzio. La domanda
l’ho fatta a seimila chilometri
e siccome ho parlato sottovoce
perché non mi sentisse altri che te,
non hai potuto udirmi. E vai avanti
a provarti vestiti che ti calmano.
La seconda domanda, era ottobre,
la scrissi su una foglia di quell’albero
vicino alla tua casa. Tu sentivi
l’autunno che arrivava, quella sera,
in grandi quantità
di vento grigio e di progetti vaghi,
così poco difesa
da una lieve fede nel tuo calore
come la seta delle tue calze.
Il tuo passo affrettato, contro il vento
credeva all’illusione che correndo
all’inizio di ottobre
si arriva subito alla primavera.
Io ti scrissi: «Ho un’estate
che si apre, solo, quando due persone
che amano il verde e che temono il freddo
bussano insieme alla sua porta.
Non c’è altro inverno che la solitudine.
Quel che scioglie la neve è un amore
che si serve del sole come interprete.
Prendi il mio braccio, accogli questo modo
semplice di abolire, insieme, inverno
e solitudine, chiamato amarsi.
Non vuoi che entriamo
in quella festa dei chiarori
che inizia nel formarsi di una coppia,
là dove grazie a certe
sottili trasparenze e velature
di carne o di cristallo, è sempre buio
molto, molto più tardi che nel mondo,
e l’aurora coincide
col primo desiderio della luce?»
L’albero consegnò al momento giusto
il mio messaggio ai tuoi piedi. Hai ricordo
di una foglia che cadde al tuo passaggio,
un tenero rumore sulla terra,
con le sillabe infrante del tuo nome
appena sussurrate e un rotolare
di materia lievissima sui sassi,
che ti veniva dietro, per salvarti
dalle tante inclemenze solitarie?
Tu non hai mai risposto. Sono certo
che tu per evitare di pensarmi hai confuso
quella con qualunque altra foglia
che gli autunni redigono a milioni
per fare volantini dell’assenza.
E la terza domanda te la feci
stando vicini, sì, molto vicini.
Abbracciati eravamo.
Era abbraccio il nostro soffitto,
pareti e pavimento erano abbraccio,
di quel colore intenso
con cui dipinge tutto l’abbracciarsi.
Abbraccio fu la porta da cui entrammo.
La finestra era abbraccio.
La notte, i suoi prati,
il gregge di mansueti grattacieli
che brucavano stelle a collo eretto,
lo vedevamo attraverso l’abbraccio.
La visione era abbraccio e udire abbraccio.
E i nostri sensi erano
talmente stretti gli uni contro gli altri
nell’offrire alla nostra unione le loro differenze,
che mai prima di allora videro
gli occhi quel che vide l’abbraccio.
Per questo io ti chiesi senza voce,
solo stringendo un po’ di più al mio petto
il tuo corpo che i cieli mi prestavano,
se tu sapevi scrivere
promesse coi tuoi occhi
e se nel primo foglio
del primo plico dell’aurora tu
mi volessi tracciare una parola
qualsiasi, per esempio: «eterno».
Avevo brama di sapere
qual è la tua scrittura quando l’anima scrive.
Ma tu non mi hai risposto. Lo capisco.
Ti eri già addormentata sul mio petto;
e la domanda come un’ala si disfece
urtando contro gli occhi ormai serrati.
Qualcuna delle sue parole o piume
— promessa, aurora, eterno — ti sfiorarono
l’anima, sì, ma con dolcezza tale
che tu, credendole
un sogno come tanti, senza domanda,
non hai pensato mai di rispondere a un sogno.
Pedro Salinas
(Traduzione di Valerio Nardoni)
spitfire- Messaggi : 2441
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Località : sul ramo di una betulla
Re: La poesia spagnola
Finché tu esisti
Finché tu esisti,
finché il mio sguardo
ti cerca al di là delle colline,
finché niente
mi riempie il cuore,
se non è la tua immagine, e c’è
una remota possibilità che tu sia viva
da qualche parte, illuminata
da una luce – qualunque…
Finché
io ho il senso che sei e che ti chiami
così, con quel nome tuo
così piccolo,
continuerò come adesso, amata
mia,
affranto di distanza,
sotto l’amor che cresce e che non muore,
questo amor che continua e non finisce.
Ángel González
Finché tu esisti,
finché il mio sguardo
ti cerca al di là delle colline,
finché niente
mi riempie il cuore,
se non è la tua immagine, e c’è
una remota possibilità che tu sia viva
da qualche parte, illuminata
da una luce – qualunque…
Finché
io ho il senso che sei e che ti chiami
così, con quel nome tuo
così piccolo,
continuerò come adesso, amata
mia,
affranto di distanza,
sotto l’amor che cresce e che non muore,
questo amor che continua e non finisce.
Ángel González
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Re: La poesia spagnola
Il miracolo
Se mi vuoi guardare
guardami,
ma così:
toccando
la mia pelle dall’interno
con le mani aperte
come se non esistesse alcun ostacolo.
Come se tu fossi un fantasma
e non potessi estrarre neanche un verso
dai miei occhi.
Come chi ormai non crede
in niente
perché ha già visto tutto.
Guardami così,
e solo allora inginocchiati
invocando di nuovo il miracolo.
Rumore
Se te ne vai
fallo con rumore:
rompi le finestre,
insulta i miei ricordi,
getta a terra tutti quanti
i miei tentativi
di raggiungerti,
muta in grido gli orgasmi,
colpisci con rabbia il calore
abbandonato, la calma scomparsa, l’amore
che non resiste,
distruggi la dimora
che non sarà più la nostra casa.
Fallo come vuoi,
ma fallo con rumore.
Non lasciarmi da sola con il mio silenzio.
La domanda che mette fine a tutto
Mi hai detto che dovevo dimenticare
tutto ciò che mi avevi fatto
perché la cosa potesse funzionare.
E l’ho fatto, amore, l’ho fatto
e ho dimenticato senza volere anche
il tuo modo di accarezzarmi,
la tua facilità di farmi ridere,
la tua premura nel ripulirmi,
l’amore nel prenderti cura di me,
e ho dimenticato te tra un tormento
e l’altro,
ho dimenticato senza volere.
E la domanda che mette fine
a tutto:
puoi continuare a essere innamorata di qualcuno
che hai smesso di amare?
Elvira Sastre
Se mi vuoi guardare
guardami,
ma così:
toccando
la mia pelle dall’interno
con le mani aperte
come se non esistesse alcun ostacolo.
Come se tu fossi un fantasma
e non potessi estrarre neanche un verso
dai miei occhi.
Come chi ormai non crede
in niente
perché ha già visto tutto.
Guardami così,
e solo allora inginocchiati
invocando di nuovo il miracolo.
Rumore
Se te ne vai
fallo con rumore:
rompi le finestre,
insulta i miei ricordi,
getta a terra tutti quanti
i miei tentativi
di raggiungerti,
muta in grido gli orgasmi,
colpisci con rabbia il calore
abbandonato, la calma scomparsa, l’amore
che non resiste,
distruggi la dimora
che non sarà più la nostra casa.
Fallo come vuoi,
ma fallo con rumore.
Non lasciarmi da sola con il mio silenzio.
La domanda che mette fine a tutto
Mi hai detto che dovevo dimenticare
tutto ciò che mi avevi fatto
perché la cosa potesse funzionare.
E l’ho fatto, amore, l’ho fatto
e ho dimenticato senza volere anche
il tuo modo di accarezzarmi,
la tua facilità di farmi ridere,
la tua premura nel ripulirmi,
l’amore nel prenderti cura di me,
e ho dimenticato te tra un tormento
e l’altro,
ho dimenticato senza volere.
E la domanda che mette fine
a tutto:
puoi continuare a essere innamorata di qualcuno
che hai smesso di amare?
Elvira Sastre
spitfire- Messaggi : 2441
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Re: La poesia spagnola
La poesia di Juan Ramon Jimenez (Premio Nobel 1956) attraverso metafore non difficili da interpretare ci parla di una pace interiore che non trova, di un'ansia continua fra il tempo che scorre e il suo bisogno di eternità.
Il mio amore
Il mio amore era così unico
come il cielo iridato di una goccia di rugiada,
di un fiore all’alba.
Il tuo sole mi colpì nel sangue,
evaporò la rugiada,
e restai senza cielo.
Juan Ramon Jimenez
quanto di te stesso sei privo,
Il mio amore
Il mio amore era così unico
come il cielo iridato di una goccia di rugiada,
di un fiore all’alba.
Il tuo sole mi colpì nel sangue,
evaporò la rugiada,
e restai senza cielo.
Juan Ramon Jimenez
Solitudine
Di te stesso sei colmo, e tuttavia,quanto di te stesso sei privo,
solo, e lontano, sempre da te stesso!
Aperto in mille ferite, ogni istante,come la fronte,
van le tue onde, come i pensieri,
vengono, vanno e vengono,
baciandosi, fuggendo,
in un eterno conoscersi,
mare, e dimenticarsi.
Sei tu, e tu non lo sai,batte il tuo cuore in te, senza saperlo…
Che colmo di solitudine, mare!
Juan Ramon imenez
Re: La poesia spagnola
Tre ricordi dal Cielo
Non aveva la rosa compleanni o l'arcangelo.
Tutto, anteriore al pianto e al belato.
Quando ancora la luce non sapeva
se il mare nascerebbe maschio o femmina.
Quando il vento sognava chiome da pettinare
e garofani il fuoco e gote da infiammare
e l'acqua, delle labbra ferme a cui abbeverarsi.
Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo.
Allora io ricordo che una volta nel cielo...
Rafael Alberti
Non aveva la rosa compleanni o l'arcangelo.
Tutto, anteriore al pianto e al belato.
Quando ancora la luce non sapeva
se il mare nascerebbe maschio o femmina.
Quando il vento sognava chiome da pettinare
e garofani il fuoco e gote da infiammare
e l'acqua, delle labbra ferme a cui abbeverarsi.
Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo.
Allora io ricordo che una volta nel cielo...
Rafael Alberti
spitfire- Messaggi : 2441
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Località : sul ramo di una betulla
Re: La poesia spagnola
L'angelo buono
Venne quello che amavo,
quello che invocavo.
Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.
Non quello che alla sua chioma
legò la morte.
Quello che io amavo.
Senza graffiare i venti,
senza foglia ferire né smuovere cristalli.
Quello che alla sua chioma
legò il silenzio.
Senza farmi del male,
per scavarmi un argine di dolce luce nel petto
e rendermi l'anima navigabile.
Rafael Alberti
Venne quello che amavo,
quello che invocavo.
Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.
Non quello che alla sua chioma
legò la morte.
Quello che io amavo.
Senza graffiare i venti,
senza foglia ferire né smuovere cristalli.
Quello che alla sua chioma
legò il silenzio.
Senza farmi del male,
per scavarmi un argine di dolce luce nel petto
e rendermi l'anima navigabile.
Rafael Alberti
Ultima modifica di spitfire il Sab Nov 16, 2019 2:52 am - modificato 2 volte.
spitfire- Messaggi : 2441
Data d'iscrizione : 24.09.17
Località : sul ramo di una betulla
Re: La poesia spagnola
Ritorno dell’amore sulle sabbie
Stamane, amore, abbiamo vent’anni.
Vanno volutamente piano, intrecciandosi,
le nostre ombre scalze per la strada tra i giardini,
che oppongono agli azzurri del mare i loro verdi.
Tu sei sempre un’apparizione,
sei la luce giunta una buia sera,
quando il giovane senza meta dalla città ritarda,
pensoso, di proposito il suo ritorno a casa.
Tu sei sempre quella che al mio fianco
va cercando il segreto declivio delle dune,
il recondito pendio della sabbia, il celato
canneto che crea
cortine agli occhi marini del vento.
Là sei, là sono davanti a te, controllando
l’alta temperatura delle onde felici,
il cuore del mare ciecamente sorto,
morendo in frammenti di dolce sale e di spume.
Poi, tutto ci guarda allegro, sulle rive.
I castelli in rovina sollevano i loro merli,
le alghe ci offrono corone e le vele,
preso il volo, vogliono cantare al di sopra delle torri.
Stamane, amore, abbiamo vent'anni.
Lo stesso autore.
Ps
Grazie Annali della giusta inquadratura. Buon lunedi' a Te e al Castello tutto.
Stamane, amore, abbiamo vent’anni.
Vanno volutamente piano, intrecciandosi,
le nostre ombre scalze per la strada tra i giardini,
che oppongono agli azzurri del mare i loro verdi.
Tu sei sempre un’apparizione,
sei la luce giunta una buia sera,
quando il giovane senza meta dalla città ritarda,
pensoso, di proposito il suo ritorno a casa.
Tu sei sempre quella che al mio fianco
va cercando il segreto declivio delle dune,
il recondito pendio della sabbia, il celato
canneto che crea
cortine agli occhi marini del vento.
Là sei, là sono davanti a te, controllando
l’alta temperatura delle onde felici,
il cuore del mare ciecamente sorto,
morendo in frammenti di dolce sale e di spume.
Poi, tutto ci guarda allegro, sulle rive.
I castelli in rovina sollevano i loro merli,
le alghe ci offrono corone e le vele,
preso il volo, vogliono cantare al di sopra delle torri.
Stamane, amore, abbiamo vent'anni.
Lo stesso autore.
Ps
Grazie Annali della giusta inquadratura. Buon lunedi' a Te e al Castello tutto.
spitfire- Messaggi : 2441
Data d'iscrizione : 24.09.17
Località : sul ramo di una betulla
Re: La poesia spagnola
Bella la poesia spagnola da te appena postata...
Un consiglio: per ridurre la scrittura di un testo fuori misura di base basta cliccare sull'ultima grande A con il bollino rosso, che vedi nella finestra in alto pagina sesto riquadro... L'ho fatto io per te...
Re: La poesia spagnola
Aggiungo un'altro poeta spagnolo.
Rafael Alberti (1902-1999)
Quando tu sei apparsa, io soffrivo nell’interno più fondo
di una caverna senza aria e senza uscita.
Mi agitavo nell’oscurità, agonizzando,
udendo un rantolo come battito di ali
di un uccello invisibile.
Hai sparso su di me i tuoi capelli
e io mi sollevai fino al sole e vidi che erano l’aurora
che sul mare aperto a primavera si distende.
Fu come se fossi giunto nel più bel
porto di mezzogiorno. Annegavano in te
i paesaggi più splendenti:
chiare, aguzze vette con rosate
corone di neve, fonti nascoste
nelle ricciute ombre dei boschi.
Ho imparato a riposare sui crinali
e a scendere lungo fiumi e pendii,
a intrecciarmi nei rami tesi
e a fare del sonno la mia morte più dolce.
Mi hai aperto il bosco e i miei floridi anni
di recente venuti alla luce, giacevano
sotto la carezza della tua spessa ombra,
lasciando il cuore al libero vento
e accordandolo al verde suono del tuo.
Già andavo a dormire, e a svegliarmi sapendo
che non penavo in una caverna oscura,
agitandomi senza aria e senza uscita.
Perché tu finalmente sei apparsa.
Rafael Alberti (1902-1999)
Quando tu sei apparsa, io soffrivo nell’interno più fondo
di una caverna senza aria e senza uscita.
Mi agitavo nell’oscurità, agonizzando,
udendo un rantolo come battito di ali
di un uccello invisibile.
Hai sparso su di me i tuoi capelli
e io mi sollevai fino al sole e vidi che erano l’aurora
che sul mare aperto a primavera si distende.
Fu come se fossi giunto nel più bel
porto di mezzogiorno. Annegavano in te
i paesaggi più splendenti:
chiare, aguzze vette con rosate
corone di neve, fonti nascoste
nelle ricciute ombre dei boschi.
Ho imparato a riposare sui crinali
e a scendere lungo fiumi e pendii,
a intrecciarmi nei rami tesi
e a fare del sonno la mia morte più dolce.
Mi hai aperto il bosco e i miei floridi anni
di recente venuti alla luce, giacevano
sotto la carezza della tua spessa ombra,
lasciando il cuore al libero vento
e accordandolo al verde suono del tuo.
Già andavo a dormire, e a svegliarmi sapendo
che non penavo in una caverna oscura,
agitandomi senza aria e senza uscita.
Perché tu finalmente sei apparsa.
spitfire- Messaggi : 2441
Data d'iscrizione : 24.09.17
Località : sul ramo di una betulla
Re: La poesia spagnola
Uno dei più importanti poeti della Spagna è stato Garcia Lorca (1898-Fuentevaqueros, Andalusia).
Si esprime in un linguaggio lirico musicale, pieno di metafore, ma è anche talvolta la sua, una poesia che sfocia in estrema crudezza di linguaggio per la libertà della fantasia alla ricerca di immagini ardite.
I suoi temi sono fin troppo chiari e fondamentali, fissi su due termini che fanno da guida a tutto il suo mondo poetico e alla sua vita stessa: la realtà e la morte.
Dopo il crollo della repubblica popolare la dittatura franchista si è imposta con la forza delle leggi repressive, delle persecuzioni ideologiche, delle torture e delle condanne a morte.
Garcia Lorca morì durante i primi giorni della guerra civile, il 19 agosto 1936, fucilato dai franchisti.
Alba
Il mio cuore angustiatoavverte alle prime luci
la pena del suo amore
e il sogno di lontananza.
La luce d’aurora reca
una vena di rimpianti
e la tristezza senz’occhi
del midollo dell’anima.
Il sepolcro della notte
innalza il suo nero velo
a occultare nella luce
l’immensa cima stellata.
Che farò su questi campi
raccogliendo nidi e rami,
circondato dall’aurora
e piena di notte l’anima!
Che farò se gli occhi tuoi
hai morti alle chiare luci
e mai sentirà la mia carne
il calore dei tuoi sguardi!
Perché ti perdi per sempre
in quella limpida sera?
Oggi il mio petto è arido
come una stella spenta.
Federico Garcia Lorca
.
La poesia spagnola
L'anima della Spagna ha espresso nei suoi poeti i motivi eterni del dolore e dell'amore umano: la bellezza della terra di Spagna, la bellezza dei suoi grandi fiumi, l'angoscia per la guerra civile, gli odi che dividono, l'esilio come mezzo per sopravvivere, la presenza dell'idea della morte...
Rafael Morales descrive l'agonia del toro...
Il momento più tragico della corrida il toro colpito a morte guarda stupito intorno a sé e non capisce perché debba morire.L'agonia è vista dal poeta come una nebbia, gelida e dolorosa che avvolge il toro e ne estingue le forze, lasciandolo smarrito e rassegnato, senza pianto e senza ira. Il poeta non impreca e non condanna esplicitamente, il suo giudizio sull'insensato agire dell'uomo è indiretto,ma non meno accusatorio.
- Agonia del Toro -Una mano di nebbia spaventosa
raggiunge il tuo cuore dolente e freddo
e si stringe lentamente,
così come l'aria più serena della rosa.
La sua ombra dolce, mite e silenziosa,
solleva la tua malinconia nei tuoi occhi,
estinguendo il tuo duro coraggio
nella pallida sabbia rumorosa.
La dura sofferenza della spada
non consente nemmeno il tuo muggito
salda e potente ti sta conficcata
Vedi accanto a te chi ti ha fatto del male
e tendi la tua vista ormai pacata
senza capire, toro come è stato.
Rafael Morles
Ultima modifica di Annali il Dom Nov 03, 2019 5:29 pm - modificato 2 volte.
Pagina 1 di 1
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