Chi scrive e chi legge
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misterred
Annali
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Re: Chi scrive e chi legge
da un racconto di VOLTAIRE, pseudonimo di Francois - Marie Arouét, drammaturgo, storico, filosofo francese. Del secolo dei LUMI. ( 1664 - 1778 )
VIAGGIO DI UN ABITANTE DI UN PIANETA LONTANO, SULLA TERRA.
Micromegas, un gigante abitante di un pianeta della stella Sirio, è convinto di essere un nano a confronto di altri abitanti di mondi lontani.
Costretto a fuggire perché sospettato di eresia dalle autorità religiose, inizia un viaggio attraverso l'universo che lo trasporterà sino a Saturno.
Qui incontra un abitante di quel pianeta, con il quale inizia un piacevole dialogo, ragionando di filosofia e geometria, trovando che la saggezza razionale rende possibile la conversazione anche tra gli esseri più diversi.
Insieme partono e arrivano sulla terra, un pianeta piccolo e poco interessante, che si può visitare in poche ore, soffermandosi appena su "quel pantano, quasi impercettibile per loro, chiamato mediterraneo".
Il saturnino si dichiara convinto che quel pianeta sia disabitato, essendo quel globo" mal costruito, irregolare e di forma ridicola".
Per caso, i due viaggiatori scorgono una piccola imbarcazione e Micromegas la prende con delicatezza tra le dita. Dentro scorge alcuni passeggeri microscopici .
Fra i due viaggiatori dello spazio e le piccole creature, inizia una difficile conversazione.
Saturnino volle sapere se fossero sempre stati in quella miserevole condizione, se si moltiplicassero e se fossero felici.
Il primo a rispondere è un matematico, perché la nave è carica di filosofi e scienziati: costui getta nella meraviglia il suo interlocutore, mostrandogli che è in grado di calcolare la sua altezza in pochi minuti a colpi di triangoli e trigonometria. E' un inizio classico: la scienza geometrica è la stessa per un saggio gigante e per un microscopico uomo. Galilei aveva affermato che nel modo di conoscere i triangoli non c'è nessuna differenza tra uomo e Dio. Micromegas inorridisce sentendo che su quel pianeta è in corso una guerra.
"Ah" infelici! Mi vien voglia di schiacciarvi!" Grida sdegnato, ma poi si sente mosso a pietà per quella piccola razza umana, che si uccide per assurdo fanatismo ma dimostra conoscenza dell'universo e sanno scambiare utili informazioni sulle distanze stellari.
Dopo gli scienziati è la volta dei filosofi: cosa hanno da dire sull'anima?
Ogni scienziato è in possesso di terminologie oscure e di concetti tenebrosi.
Per ultimo interviene un filosofo cattolico, che citando San Tommaso, afferma con arroganza" che tutto, le loro persone, i loro mondi, le loro stelle, i loro soli, erano stati creati unicamente per l'uomo della Terra".
Micromegas scoppia a ridere, per la comicità delle parole in bocca all'invisibile atomo, rischiando di far affondare il vascello.
Decide di scrivere lui un libro di filosofia, nel quale rivelerà il fine di tutte le cose e lo stende seduta stante a caratteri minutissimi.
Ma quando gli uomini vanno ad aprirlo, si accorgono che le pagine sono tutte bianche.
A me è piaciuto raccontarvi la storia, quali che siano gli insegnamenti che vorrete trarne, decidete voi, che avete avuto il tempo di leggerlo.
Ultima modifica di Annali il Lun Apr 20, 2015 8:53 pm - modificato 1 volta.
la sbronza del sabato sera (3° episodio, finale)
La sbronza del sabato sera – 3° episodio (finale)
Riassunto degli episodi precedenti:
Marco è stato lasciato da Anna, che è andata a convivere con un concessionario di automobili, squattrinato e donnaiolo.
Dopo la classica sbronza, Marco adotta un randagio e si dà alla pittura.
Interviene in una rissa, viene ferito e matura la decisione di farsi prete.
Don marco è in sagrestia, sta prendendo appunti per la messa di domenica mattina.
Il sagrestano bussa, e riferisce a Don Marco che una persona, anzi una signorina vorrebbe confessarsi.
Don Marco risponde al sagrista di farla accomodare al confessionale, lui arriverà subito.
Dopo avere chiuso il carteggio e averlo riposto nell'armadio, Don Marco, indossa la stola e si avvia verso la navata dove è posto il confessionale.
Una donna è già in ginocchio, in attesa, le si scorgono i piedi.
Un fremito scorre lungo la schiena di Don marco.
Apre la tendina e si siede recitando la formula di rito : “In nome del padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”.
“Amen” risponde la ragazza dall'altro lato della grata.
Quel tono di voce, gradevole, inconfondibile, pur dopo dodici anni, Marco lo riconosce molto bene.
“Tu”? ( Don Marco)
“Si, io Marco, Don Marco”, risponde Anna, con un filo di voce.
Riprende : “Marco, desidero confessarmi, chiedere il tuo perdono”.
Marco : “Anna, io ti ho già perdonata” e adesso ti perdonerà anche il Signore”.
Anna : “Lo so, è stata una scelta sbagliata la mia, mi ero infatuato di quell'essere ignobile, che mi aveva circuita con false promesse di una vita da favola”.
Don Marco : “Anna, sappi che quando le cose sono troppo belle per essere vere non sono mai vere”. Troppo facile ottenere il successo senza sacrifici”.
Prosegue : “dimmi, cos'è accaduto poi? Che ha combinato quel tizio?”
Anna, racconta brevemente le sue disavventure. Il “tizio”, come lo chiama Marco, in realtà era un essere detestabile, senza lavoro e senza dignità.
Nei primi mesi si era mostrato gentile (per accaparrarsi la fiducia di Anna), ma poi era uscito il vero carattere; nullafacente, donnaiolo e dedito al gioco.
Lei se n'era accorta in tempo, ed era fuggita.
Aveva trovato rifugio in una casa famiglia. Avrebbe voluto contattarlo, ma lui (Don Marco) aveva scelto la via del Seminario.
Ma lo pensava sempre, ininterrottamente.
Marco, la interrompe dicendo : “anche io ti ho sempre pensata, sei stata l'unica donna cui ho voluto veramente bene, quella che mi faceva battere il cuore, e adesso mi fa tremare la voce”.
Anna : “A me tremano le mani” e appoggia il palmo della mano sulla grata, tacitamente chiedendo di sfiorare la mano di Marco”.
Marco, alza la mano e cerca la grata, ma poi si trattiene.
“Non posso, Anna, è troppo tardi, la mia vita non mi appartiene più, appartiene a “Lui!”.
Anna, replica, ritira la mano, la sua voce diventa più forte, più squillante : “Ma potremmo tentare di rifarci una vita, siamo ancora giovani, potremmo essere felici insieme”.
“No Anna, il nostro monte (luogo dove andavano spesso) non ci vedrà più insieme”. Ho riflettuto a lungo, la mia vita ormai l'ho affidata ai poveri, ai bambini di strada, a coloro che non hanno voce e sono sempre maltrattati ed emarginati.
“Però, voglio farti un dono”. Continua Don Marco, mettendo la mano in tasca.
“Quale? Dice Anna.
“Ricordi, quella sera? Io mi ubriacai, e la notte la passai nei pressi della torre, e li ruppi l'ultima bottiglia. I cocci li raccolsi e buttai nel contenitore. Salvo uno piccolissimo, che ho incastonato su
questa catenina che tu mi avevi regalato per il mio compleanno e che ho tenuto sempre con me. Adesso, te la do in dono” e gliela porge attreverso la tendina del confessionale. Anna, la prende e la stringe chiudendo il pugno.
“Anch'io ti faccio un dono”, replica Anna.
“in questo cofanetto, c'è una ciocca dei miei capelli, ti ricorderà di me” e gliela porge scostando leggermente la tendina.
Marco esce la mano per prendere il cofanetto, si sfiorano, i loro cuori battono a mille all'ora, vorebbero stringersi le mani, ma poi entrambi si ritraggono.
Don Marco, recita la formula di rito e assolve Anna e non le assegna nessuna penitenza.
Anna : “Marco, Don marco, mi scorderai? Mi penserai?
Marco : “Mai ti scorderò, ti penserò sempre”.
Poi, scosta la tendina, e si avvia verso la canonica, i suoi passi rimbombano nella chiesa semivuota, mentre Anna rimane a capo chino; poi si avvia verso l'uscita stringendo in pugno il dono di Marco.
FINE
(by sanvass, personaggi e storia di fantasia, nessuna attinenza con fatti reali).
Riassunto degli episodi precedenti:
Marco è stato lasciato da Anna, che è andata a convivere con un concessionario di automobili, squattrinato e donnaiolo.
Dopo la classica sbronza, Marco adotta un randagio e si dà alla pittura.
Interviene in una rissa, viene ferito e matura la decisione di farsi prete.
Don marco è in sagrestia, sta prendendo appunti per la messa di domenica mattina.
Il sagrestano bussa, e riferisce a Don Marco che una persona, anzi una signorina vorrebbe confessarsi.
Don Marco risponde al sagrista di farla accomodare al confessionale, lui arriverà subito.
Dopo avere chiuso il carteggio e averlo riposto nell'armadio, Don Marco, indossa la stola e si avvia verso la navata dove è posto il confessionale.
Una donna è già in ginocchio, in attesa, le si scorgono i piedi.
Un fremito scorre lungo la schiena di Don marco.
Apre la tendina e si siede recitando la formula di rito : “In nome del padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”.
“Amen” risponde la ragazza dall'altro lato della grata.
Quel tono di voce, gradevole, inconfondibile, pur dopo dodici anni, Marco lo riconosce molto bene.
“Tu”? ( Don Marco)
“Si, io Marco, Don Marco”, risponde Anna, con un filo di voce.
Riprende : “Marco, desidero confessarmi, chiedere il tuo perdono”.
Marco : “Anna, io ti ho già perdonata” e adesso ti perdonerà anche il Signore”.
Anna : “Lo so, è stata una scelta sbagliata la mia, mi ero infatuato di quell'essere ignobile, che mi aveva circuita con false promesse di una vita da favola”.
Don Marco : “Anna, sappi che quando le cose sono troppo belle per essere vere non sono mai vere”. Troppo facile ottenere il successo senza sacrifici”.
Prosegue : “dimmi, cos'è accaduto poi? Che ha combinato quel tizio?”
Anna, racconta brevemente le sue disavventure. Il “tizio”, come lo chiama Marco, in realtà era un essere detestabile, senza lavoro e senza dignità.
Nei primi mesi si era mostrato gentile (per accaparrarsi la fiducia di Anna), ma poi era uscito il vero carattere; nullafacente, donnaiolo e dedito al gioco.
Lei se n'era accorta in tempo, ed era fuggita.
Aveva trovato rifugio in una casa famiglia. Avrebbe voluto contattarlo, ma lui (Don Marco) aveva scelto la via del Seminario.
Ma lo pensava sempre, ininterrottamente.
Marco, la interrompe dicendo : “anche io ti ho sempre pensata, sei stata l'unica donna cui ho voluto veramente bene, quella che mi faceva battere il cuore, e adesso mi fa tremare la voce”.
Anna : “A me tremano le mani” e appoggia il palmo della mano sulla grata, tacitamente chiedendo di sfiorare la mano di Marco”.
Marco, alza la mano e cerca la grata, ma poi si trattiene.
“Non posso, Anna, è troppo tardi, la mia vita non mi appartiene più, appartiene a “Lui!”.
Anna, replica, ritira la mano, la sua voce diventa più forte, più squillante : “Ma potremmo tentare di rifarci una vita, siamo ancora giovani, potremmo essere felici insieme”.
“No Anna, il nostro monte (luogo dove andavano spesso) non ci vedrà più insieme”. Ho riflettuto a lungo, la mia vita ormai l'ho affidata ai poveri, ai bambini di strada, a coloro che non hanno voce e sono sempre maltrattati ed emarginati.
“Però, voglio farti un dono”. Continua Don Marco, mettendo la mano in tasca.
“Quale? Dice Anna.
“Ricordi, quella sera? Io mi ubriacai, e la notte la passai nei pressi della torre, e li ruppi l'ultima bottiglia. I cocci li raccolsi e buttai nel contenitore. Salvo uno piccolissimo, che ho incastonato su
questa catenina che tu mi avevi regalato per il mio compleanno e che ho tenuto sempre con me. Adesso, te la do in dono” e gliela porge attreverso la tendina del confessionale. Anna, la prende e la stringe chiudendo il pugno.
“Anch'io ti faccio un dono”, replica Anna.
“in questo cofanetto, c'è una ciocca dei miei capelli, ti ricorderà di me” e gliela porge scostando leggermente la tendina.
Marco esce la mano per prendere il cofanetto, si sfiorano, i loro cuori battono a mille all'ora, vorebbero stringersi le mani, ma poi entrambi si ritraggono.
Don Marco, recita la formula di rito e assolve Anna e non le assegna nessuna penitenza.
Anna : “Marco, Don marco, mi scorderai? Mi penserai?
Marco : “Mai ti scorderò, ti penserò sempre”.
Poi, scosta la tendina, e si avvia verso la canonica, i suoi passi rimbombano nella chiesa semivuota, mentre Anna rimane a capo chino; poi si avvia verso l'uscita stringendo in pugno il dono di Marco.
FINE
(by sanvass, personaggi e storia di fantasia, nessuna attinenza con fatti reali).
misterred- Messaggi : 142
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Re: Chi scrive e chi legge
Annali ha scritto:Perchè, per aiutare il prossimo uno deve farlo vestito da prete?
Per il volontariato si, si può fare naturalmente senza saio o abiti talari, dedicando parte del proprio tempo ai bisogni degli altri. Ma se diventa "missione" è bene (secondo me) lasciare tutto, sganciarsi dalle cose materiali che potrebbero distogliere dal vero senso della missione.Il cristo non ha mai detto di chiudersi nei seminari o nei conventi vestendo l'abito talare.
Anche questo è vero, ma Gesù e gli apostoli vivevano insieme e Gesù che insegnava loro la missione di mandarli per il mondo. Poi, anche S.Francesco, pur non essendo sacerdote (e non volle esserlo) viveva in un convento con i confratelli. Per il seminario c'è da dire che l'organizzazone della Chiesa cattolica lo richiede per verificare la reale vocazione (discernimento) del seminarista.Anche senza tonaca che gli concede molti privilegi, il tuo personaggio poteva andare negli ospedali a confortare i tanti bimbi che soffrono, oppure andare a rendersi utile nei centri dove il "poveri" vanno a mendicare.
Hai ragione, molti lo fanno e molto meglio di alcuni pseudo-religiosi.Comunque hai ragione su di me: non mi piacciono i preti e i falsi/e, predicatori.
Nemmeno a me piacciono le persone false, che siano preti o sagrestani.Insomma, devo ritenere che il motivo della decisione di Marco di darsi alla vita sacerdotale è stato aver ricevuto una specie di stimmate? (:le ferite ai palmi delle mani...)Ho letto un'ultima parte nell'arcobalenato: sembra stia ricomparendo Anna... e qui vorrei vedere dove la "vocazione" di Marco finirà.
Marco ha letto in quell'episodio quale fosse la vita che lo aspettava; sicuramente avrebbe scelto la stesso la strada da percorrere, Le ferite ne hanno soltanto reso possibile l'anticipazione dei tempi.
Si, Anna ricomparirà e sarà un guaio per Marco che..............(lo scopriremo)
misterred- Messaggi : 142
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Re: Chi scrive e chi legge
Perchè, per aiutare il prossimo uno deve farlo vestito da prete?
Il cristo non ha mai detto di chiudersi nei seminari o nei conventi vestendo l'abito talare.
Anche senza tonaca che gli concede molti privilegi, il tuo personaggio poteva andare negli ospedali a confortare i tanti bimbi che soffrono, oppure andare a rendersi utile nei centri dove il "poveri" vanno a mendicare.
Comunque hai ragione su di me: non mi piacciono i preti e i falsi/e, predicatori.
Insomma, devo ritenere che il motivo della decisione di Marco di darsi alla vita sacerdotale è stato aver ricevuto una specie di stimmate? (:le ferite ai palmi delle mani...)
Ho letto un'ultima parte nell'arcobalenato: sembra stia ricomparendo Anna... e qui vorrei vedere dove la "vocazione" di Marco finirà.
Re: Chi scrive e chi legge
Finito questo, ne sto preparando un altro. Un genere simil-poliziesco, completamente diverso da questo.
Un "giallo-rosa". Non posso dire altro, per ora.
Il personaggio mi stuzzica......e penso anche i lettori.
Vedremo.
Sto scrivendo la trama.
Un "giallo-rosa". Non posso dire altro, per ora.
Il personaggio mi stuzzica......e penso anche i lettori.
Vedremo.
Sto scrivendo la trama.
misterred- Messaggi : 142
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Re: Chi scrive e chi legge
Immaginavo la tua considerazione.
Però riflettici, non in virtù della delusione amorosa, ma del suo grande impegno verso l'umanità.
Perchè poi pessima? Non tutti i sacerdoti sono come li immagini tu, burocrati o scansafatiche
o amanti del lusso e del potere.
C'è chi ci crede veramente negli ideali cristiani e il loro impegno a favore dei più deboli
e degli emarginati è significativo.
Però riflettici, non in virtù della delusione amorosa, ma del suo grande impegno verso l'umanità.
Perchè poi pessima? Non tutti i sacerdoti sono come li immagini tu, burocrati o scansafatiche
o amanti del lusso e del potere.
C'è chi ci crede veramente negli ideali cristiani e il loro impegno a favore dei più deboli
e degli emarginati è significativo.
misterred- Messaggi : 142
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Re: Chi scrive e chi legge
Marco decide di entrare in Seminario?? Pessima decisione, avrei supposto un finale migliore...
Re: Chi scrive e chi legge
Questa seconda parte lo so è un pò forte, ma vi prometto che la terza sarà molto più romantica.
misterred- Messaggi : 142
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La sbronza del sabato sera (2a parte)
IL RACCONTO DELLA DOMENICA : La sbronza del sabato sera 2 parte :
Riassunto : Marco è stato lasciato da Anna. Si è preso una sbronza per dimenticare e ha trovato un cagnolino, che terrà con sè finchè.....
SECONDA PARTE :
Da quel sabato sera sono passati dodici anni, Marco non è più un ragazzo ma un quarantenne, sempre attraente, alto e molto gentile. Però, adesso non è più marco, ma "Don Marco", giovane prete di una parrocchia di Periferia, vicino al degrado e al malessere sociale.
Come mai è divenuto un sacerdote. Ascoltate.
Ricordate la sera della sbronza? Bene, aveva trovato un cagnolino che gli si era affezionato. Lui l'aveva preso con sè.
Aveva continuato il suo lavoro e gli era venuto l'hobby della pittura.
Un sabato, mentre era nei pressi della torre (all'estrema punta della città) e stava dipingendo kil paesaggio, sente delle urla concitate. Due tizi, dalle parole stanno passando alle mani. Urlano, si offendono, si scaglianoi l'uno contro l'altro.
Marco, in un impeto di eroismo corre verso di loro, si frappone tra di loro gridando a voce alta : "In nome di Cristo, fermatevi"!.
I due, straniti da quella presenza e da quelle parole, hanno un attimo di esitazione e si fermano a guardarlo. Uno dei due si calma e si ritrae, l'altro, sulle cui mano era spuntata un'arma (un cacciavite, o un coltello, non lo sapremo mai), invece si scaglia contro marco e tenta di trafiggerlo. Il cagnolino si accorge che il suo padrone è in pericolo e lanciandosi verso l'aggressore gli azzanna la mano; ma il malintenzionato con un calcio lo allontana e tenta ancora di pugnalare Marco, che però si difende parando il colpo con il palmo della mani aperte. Il coltello (o ciacciavite) gli infilza e trapassa entrambi i palmi forandogliele abbastanza gravemente . L'aggressore, alla vista delle ferite inferte, fugge via lungo il viale, ma ad attenderlo c'è una pattuglia di Carabinieri che lo blocca e lo arresta.
Intanto, l'altro uomo della lite, che aveva assistito da lontano alla scena, impaurito si avvicina a Marco, che frattanto è sanguinante alla mano e giace per terra.
"Chiamo una ambulanza" dice, che meno di dieci minuti dopo è gia sul posto.
Mentre infilano la barella su cui è posto Marco dentro la vettura di soccorso, il tizio, sorride a Marco e gli dice sottovoce : "Grazie, mi hai salvato la vita; quella coltellata sarebba stata diretta verso di me". Marco vorrebbe stringerli le mani , poi se le guarda e si accorge che presentano sotto la fasciatura due grossi fori proprio sul palmo delle mani. Gli rimbomba quella frase da lui proferita prima che lla lite degenerasse : "In nome di Cristo,fermatevi".
Non lo sa ancora, ma ha già deciso, la sua strada sarà il Seminario".
Così sarà e così diventerà Don Marco.
Marco, prima di addormentarsi sedato, chiede all'infermiere notizie del suo cane, e l'infermiere risponde scuotendo la testa e con una smorfia della bocca.
Ulula la la sirena ementre l'ambulanza corre veloce verso il pronto soccorso.
Ma, Anna intanto che fine ha fatto? Lo scopriremo la prossima domenica, nella terza ed ultima parte.
FINE SECONDA PARTE.
Riassunto : Marco è stato lasciato da Anna. Si è preso una sbronza per dimenticare e ha trovato un cagnolino, che terrà con sè finchè.....
SECONDA PARTE :
Da quel sabato sera sono passati dodici anni, Marco non è più un ragazzo ma un quarantenne, sempre attraente, alto e molto gentile. Però, adesso non è più marco, ma "Don Marco", giovane prete di una parrocchia di Periferia, vicino al degrado e al malessere sociale.
Come mai è divenuto un sacerdote. Ascoltate.
Ricordate la sera della sbronza? Bene, aveva trovato un cagnolino che gli si era affezionato. Lui l'aveva preso con sè.
Aveva continuato il suo lavoro e gli era venuto l'hobby della pittura.
Un sabato, mentre era nei pressi della torre (all'estrema punta della città) e stava dipingendo kil paesaggio, sente delle urla concitate. Due tizi, dalle parole stanno passando alle mani. Urlano, si offendono, si scaglianoi l'uno contro l'altro.
Marco, in un impeto di eroismo corre verso di loro, si frappone tra di loro gridando a voce alta : "In nome di Cristo, fermatevi"!.
I due, straniti da quella presenza e da quelle parole, hanno un attimo di esitazione e si fermano a guardarlo. Uno dei due si calma e si ritrae, l'altro, sulle cui mano era spuntata un'arma (un cacciavite, o un coltello, non lo sapremo mai), invece si scaglia contro marco e tenta di trafiggerlo. Il cagnolino si accorge che il suo padrone è in pericolo e lanciandosi verso l'aggressore gli azzanna la mano; ma il malintenzionato con un calcio lo allontana e tenta ancora di pugnalare Marco, che però si difende parando il colpo con il palmo della mani aperte. Il coltello (o ciacciavite) gli infilza e trapassa entrambi i palmi forandogliele abbastanza gravemente . L'aggressore, alla vista delle ferite inferte, fugge via lungo il viale, ma ad attenderlo c'è una pattuglia di Carabinieri che lo blocca e lo arresta.
Intanto, l'altro uomo della lite, che aveva assistito da lontano alla scena, impaurito si avvicina a Marco, che frattanto è sanguinante alla mano e giace per terra.
"Chiamo una ambulanza" dice, che meno di dieci minuti dopo è gia sul posto.
Mentre infilano la barella su cui è posto Marco dentro la vettura di soccorso, il tizio, sorride a Marco e gli dice sottovoce : "Grazie, mi hai salvato la vita; quella coltellata sarebba stata diretta verso di me". Marco vorrebbe stringerli le mani , poi se le guarda e si accorge che presentano sotto la fasciatura due grossi fori proprio sul palmo delle mani. Gli rimbomba quella frase da lui proferita prima che lla lite degenerasse : "In nome di Cristo,fermatevi".
Non lo sa ancora, ma ha già deciso, la sua strada sarà il Seminario".
Così sarà e così diventerà Don Marco.
Marco, prima di addormentarsi sedato, chiede all'infermiere notizie del suo cane, e l'infermiere risponde scuotendo la testa e con una smorfia della bocca.
Ulula la la sirena ementre l'ambulanza corre veloce verso il pronto soccorso.
Ma, Anna intanto che fine ha fatto? Lo scopriremo la prossima domenica, nella terza ed ultima parte.
FINE SECONDA PARTE.
misterred- Messaggi : 142
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la sbronza del sabato sera (dai racconti di Tino)
Il racconto (breve) della domenica.
LA SBRONZA DEL SABATO SERA.
Marco (28 anni) e Anna (21) erano stati insieme all'incirca 1 anno e mezzo. Poi, quel sabato pomeriggio di novembre si erano lasciati.
Lei si era messa un con concessionario di automobili. Da sempre infatti era affascinata dalle auto di lusso. Il concessionario in realtà era squattrinato, macchine non ne vendeva a causa della crisi, però le utilizzava a fini propri per conquistare le belle ragazze.
Marco aera un ragioniere ed avevo un negozietto di prodotti informatici che però non gli andava molto bene, nonstante fosse bravo e preparato nel suo mestiere.
Anna era diplomata, ma aspirava a fare la fotomodella.
Si erano voluti bene, poi era entrato nella vita di Anna quel concessionario e tutto era cambiato tra loro.
Quel sabato, lei gli aveva annunciato la fine del loro rapporto e se n'era andata.
Come fanno (quasi sempre) tutti i maschi, Marco era rimasto in silenzio dentro la sua auto (dopo che Anna era scesa), poi la sera, aveva cominciato ad entrare ed uscire dai locali notturni, bevendo ogni genere di liquori per cercare di dimenticare quella brutta storia finita anzitempo e contro la sua volontà.
Alle tre di notte, il titolare del locale lo aveva scaraventato fuori in malo modo. Lui era quasi ubriaco fradicio. Si alzò, tra un singhiozzo ed un altro, imprecando alla luna la sua rabbia mista di tristezza.
Poi, barcollando, anzi ondeggiando paurosamente, si incamminò, reggendosi qua e la ai muri delle case, o a qualche lampione, e con l'altra mano reggeva una bottiglia con all'interno quel poco di contenuto scuro, che avrebbe dovuto fargli dimenticare la triste esperienza vissuta.,
pian piano arrivò alla torre in fondo alla città. Avrebbe voluto sedersi su quel sedile che loro di solito, il sabato sera utlizzavano per chiacchierare e scambiarsi effusioni.
Era occupato però da un'altra coppietta. La guardò con un pizzico di invidia e nostalgia, poi, appoggiò le spalle al muretto e si accovacciò per terra.
Portò la bottiglia alla bocca, ma era vuota, completamente vuota, il residuo contenuto si era versato per strada durante il cammino.
La lanciò verso il muretto di fronte e la bottiglia si frantumò in mille pezzi, rilasciando il caratteristico suono di una cristalleria che si spezza e si rompe.
Poi, stanchissimo, si addormentò, al chiaro di quella luna, che ormai per lui non aveva nulla di romantico.
L'infomani mattina, anzi qualche ora dopo, un timido raggio di sole lo sveglò; con la mano destra cercò la bottiglia. Aveva il classico cerchio alla testa, tipico di chi è stato preda di una bella sbronza notturna.
Non trovò la bottiglia (che aveva frantumata nella notte), ma trovò la peluria di un cagnolino randagio, che nella notte si era accucciato insieme a lui e gli aveva tenuto compagnia mentre lui dormiva.
Lo accarezzò. Chi sei disse? Come ti chiamì? Il cane rispose con un guaito e scodinzolò; era contento aveva trovato un nuovo padrone.
"Bene", disse Marco, "starai con me", al posto di quella "str...." ma non proseguì la frase.
"ti chiamerò..........venerdì". Poi ci ripensò, quel nome era stato utilizzato già da qualcun altro.
Poichè era domenica mattino, decise di chiamarlo "domenico" con la c minuscola s'intende, dato che era un cane.
Si alzò, vide i cocci frantumati della bottiglia, e molto educatamente e civilmente, prese un cartone che giaceva per terra, e con esso raccolse i cocci, tutti, e li buttò dentro il contenitore. "No sia mai, che mi òrendano per un maleducato e incivile cittadino".
Si incamminò verso casa, domenico lo seguiva tutto lieto.
Aveva perso una ragazza, ma aveva trovato uncagnolino per amico.
Chissà, forse ci aveva guadagnato.
FINE
P.s. come dite? Volete sapere il prosieguo della storia? Ci penserò e ve la raconterò.
LA SBRONZA DEL SABATO SERA.
Marco (28 anni) e Anna (21) erano stati insieme all'incirca 1 anno e mezzo. Poi, quel sabato pomeriggio di novembre si erano lasciati.
Lei si era messa un con concessionario di automobili. Da sempre infatti era affascinata dalle auto di lusso. Il concessionario in realtà era squattrinato, macchine non ne vendeva a causa della crisi, però le utilizzava a fini propri per conquistare le belle ragazze.
Marco aera un ragioniere ed avevo un negozietto di prodotti informatici che però non gli andava molto bene, nonstante fosse bravo e preparato nel suo mestiere.
Anna era diplomata, ma aspirava a fare la fotomodella.
Si erano voluti bene, poi era entrato nella vita di Anna quel concessionario e tutto era cambiato tra loro.
Quel sabato, lei gli aveva annunciato la fine del loro rapporto e se n'era andata.
Come fanno (quasi sempre) tutti i maschi, Marco era rimasto in silenzio dentro la sua auto (dopo che Anna era scesa), poi la sera, aveva cominciato ad entrare ed uscire dai locali notturni, bevendo ogni genere di liquori per cercare di dimenticare quella brutta storia finita anzitempo e contro la sua volontà.
Alle tre di notte, il titolare del locale lo aveva scaraventato fuori in malo modo. Lui era quasi ubriaco fradicio. Si alzò, tra un singhiozzo ed un altro, imprecando alla luna la sua rabbia mista di tristezza.
Poi, barcollando, anzi ondeggiando paurosamente, si incamminò, reggendosi qua e la ai muri delle case, o a qualche lampione, e con l'altra mano reggeva una bottiglia con all'interno quel poco di contenuto scuro, che avrebbe dovuto fargli dimenticare la triste esperienza vissuta.,
pian piano arrivò alla torre in fondo alla città. Avrebbe voluto sedersi su quel sedile che loro di solito, il sabato sera utlizzavano per chiacchierare e scambiarsi effusioni.
Era occupato però da un'altra coppietta. La guardò con un pizzico di invidia e nostalgia, poi, appoggiò le spalle al muretto e si accovacciò per terra.
Portò la bottiglia alla bocca, ma era vuota, completamente vuota, il residuo contenuto si era versato per strada durante il cammino.
La lanciò verso il muretto di fronte e la bottiglia si frantumò in mille pezzi, rilasciando il caratteristico suono di una cristalleria che si spezza e si rompe.
Poi, stanchissimo, si addormentò, al chiaro di quella luna, che ormai per lui non aveva nulla di romantico.
L'infomani mattina, anzi qualche ora dopo, un timido raggio di sole lo sveglò; con la mano destra cercò la bottiglia. Aveva il classico cerchio alla testa, tipico di chi è stato preda di una bella sbronza notturna.
Non trovò la bottiglia (che aveva frantumata nella notte), ma trovò la peluria di un cagnolino randagio, che nella notte si era accucciato insieme a lui e gli aveva tenuto compagnia mentre lui dormiva.
Lo accarezzò. Chi sei disse? Come ti chiamì? Il cane rispose con un guaito e scodinzolò; era contento aveva trovato un nuovo padrone.
"Bene", disse Marco, "starai con me", al posto di quella "str...." ma non proseguì la frase.
"ti chiamerò..........venerdì". Poi ci ripensò, quel nome era stato utilizzato già da qualcun altro.
Poichè era domenica mattino, decise di chiamarlo "domenico" con la c minuscola s'intende, dato che era un cane.
Si alzò, vide i cocci frantumati della bottiglia, e molto educatamente e civilmente, prese un cartone che giaceva per terra, e con esso raccolse i cocci, tutti, e li buttò dentro il contenitore. "No sia mai, che mi òrendano per un maleducato e incivile cittadino".
Si incamminò verso casa, domenico lo seguiva tutto lieto.
Aveva perso una ragazza, ma aveva trovato uncagnolino per amico.
Chissà, forse ci aveva guadagnato.
FINE
P.s. come dite? Volete sapere il prosieguo della storia? Ci penserò e ve la raconterò.
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Re: Chi scrive e chi legge
Stasera scrivo io, a leggere qualcuno ci sarà...
RIFLESSIONI Dai miei racconti del mistero
RIFLESSIONI Dai miei racconti del mistero
La prima ad arrivare è stata Emma. Non la vedevo da qualche anno e per la verità la sua presenza mi stupisce alquanto. In passato siamo state molto legate, prima che, una serie di incomprensioni e disaccordi vari, limitassero i nostri rapporti allo stretto indispensabile.
Mentre si avvicina, avvolta dal profumo penetrante che da sempre si ostina a usare, non posso fare a meno di provare un notevole fastidio. “Quella “ragazza” non imparerà mai” penso contrariata, eppure avrebbe potuto apparire carina, persino sposarsi, se solo fosse stata in grado di valorizzarsi.” Sento tintinnare i braccialetti mentre solleva il braccio per sistemarsi gli occhiali sopra la testa, come sembra vada di moda. Dico sembra, poiché non mi sono mai preoccupata di approfondire simili dettagli. E poi, a giudicare dal soprabito pesante che indossa, non dovrebbe essere una giornata tanto soleggiata da giustificare gli occhiali scuri. Con le tende tirate e la stanza in penombra, non riesco a capire come sia il tempo fuori.
A parte che, comunque sia, io, un po’ di freddo, me lo sento nelle ossa.
È quasi giunta davanti a me e la vedo estrarre dalla borsa, rigorosamente firmata, come del resto ogni abito o accessorio che indossa, un fazzolettino ricamato con le sue iniziali. Si soffia il naso con discrezione ed emette un debole singhiozzo (tutte le sue azioni sono misurate e ispirate alla più garbata discrezione), tuttavia non una sola lacrima scende dai suoi occhi.
Si china verso di me, tanto da farmi temere che sia intenzionata a baciarmi. Fortunatamente ci ripensa, con mio grande sollievo. Non aveva lesinato con il rossetto e le sue labbra, di un rosso scarlatto, apparivano simili a un’impressionante ferita.
Ondeggia leggermente risollevando il busto e sposta la borsetta da un braccio all’altro. Dalle dimensioni, giudico che non dovrebbe pesare tanto da affaticarla. A meno che, non contenga un’arma completa di almeno una dozzina di proiettili di grosso calibro.
È sempre stata ossessionata dal timore di subire aggressioni, tanto da fantasticare, in certi momenti, sulla necessità di assumere un “bodyguard”.
Uno scalpiccio di passi affrettati nell’atrio distoglie da me la sua attenzione e con un sommesso farfuglio la vedo precipitarsi nelle braccia della nuova arrivata, la cugina Ornella.
Ornella, la vanitosa e superficiale. Ha superato da parecchio tempo i quarant’anni, ma credo che lei sia tenacemente convinta di averli invece dimezzati. Veste casual come una ragazzina e si comporta di conseguenza. Penso che Elisa, la figlia diciottenne, la detesti per questo. Infatti, evita accuratamente di portare gli amici a casa.
Al contrario, Carlo, il marito, un sant’uomo, chiude un occhio e la lascia fare, purché possa gestire il telecomando e razziare la dispensa e il frigorifero a suo piacimento. Lui è il classico, tranquillo, imperturbabile, “pantofolaio”.
Deve essergli costato un enorme sforzo, lasciare la rassicurante atmosfera del suo salotto per questo improvviso e inopportuno “ contrattempo”. Non posso fare a meno di costatare, però, che una volta tanto, è riuscito ad abbinare la cravatta giusta al colore della camicia. Peccato non abbia saputo fare altrettanto con giacca e pantaloni. Ma, in fondo, deve aver pensato che non mi sarei certo potuta formalizzare per questa sua assenza di armonia estetica.
Si guarda attorno smarrito, chiaramente a disagio e dal modo con cui evita accuratamente di volgere lo sguardo nella mia direzione, capisco che avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto, per esempio appeso a un paracadute, mentre scende vorticando sopra una distesa di cactus. In un certo senso lo capisco: se solo potessi scegliere, e giuro che lo vorrei tanto, anch’io preferirei essere in tutt’altro posto. Magari nella cabina di una lussuosa nave da crociera, in partenza per quel famoso viaggio tanto sognato e sempre rimandato.
Il mio povero marito lo ripeteva spesso: “ Adele, se desideri fare una cosa, falla subito, non restare ferma a pensarci troppo, altrimenti con la tua eterna indecisione finirai col farti spuntare le radici sotto le piante dei piedi.”
Aveva ragione, lo riconosco. Voglio dire, sul fatto che non avessi sempre le idee ben chiare nei momenti risolutivi. Altro che radici sotto i piedi! Avrei potuto far spuntare tanta vegetazione da uguagliare quella della foresta amazzonica!
In ogni modo un viaggio lo farò comunque. In un certo senso direi, è già cominciato.
Devo essermi distratta troppo a lungo perché mi accorgo che ora altra gente si è unita alle mie “ care” cugine. Dall’atrio mi giungono alcune voci, non propriamente pacate, anzi, direi che sia in corso un vero e proprio alterco. La voce che sovrasta tutte le altre, stizzita e indignata, è quella di mio nipote Augusto. Alla fine è riuscito a trovare il tempo per una visita alla vecchia nonna! Come avrebbe potuto mancare? Proprio oggi? In qualunque parte del mondo si fosse trovato, non avrebbe esitato un solo istante a mollare tutto per trovarsi qui, davanti a me, insieme alla “famiglia” riunita.
Gli anni trascorsi ad aspettare una sua visita sono calati sul mio cuore come colpi di maglio, e la sua assenza l’ha reso vuoto e silenzioso. Solamente qualche sporadica cartolina, giusto per farsi ricordare. E per farmi piangere di nostalgia. Nostalgia di un bimbetto che mi abbracciava e mi ripeteva: “Ti voglio bene, nonna!”.
Si dovrebbe impedire ai bambini di crescere, diventare adulti e spezzare il cuore alle loro nonne. O, magari, le nonne dovrebbero evitare di affezionarsi tanto a loro.
Nell’atrio l’alterco continua e le voci si sovrappongono rabbiose. Nessuno bada a me, come fossi una semplice presenza casuale, accidentale, addirittura non essenziale per le loro esternazioni rabbiose.
Mi sorge il dubbio che abbiano atteso questo giorno per regolare i conti in sospeso, per rinfacciarsi a vicenda i torti subiti e rivendicare i propri diritti.
A ben guardare avrei anch’io qualcosa da ridire su di loro, ma dopotutto, non sarebbe il momento adeguato. Non potrei assolutamente avere voce per farmi valere. O sentire.
Per esempio, prendiamo Ornella: mi ha rubato il fidanzato e nonostante ciò è stata lei a non rivolgermi più la parola, quando si è accorta che, il furto, aveva deluso le sue aspettative.
Già, perché Carlo, suo marito, era il “mio” fidanzato. In sostanza, comunque, insieme al fidanzato ho perduto anche una cugina carissima, alla quale ero legata da un sincero affetto.
Ora, al coro di voci, si sono aggiunte quelle di Angela, Fabio, Gianni, Marisa, Alessio. Tutti cugini di primo e secondo grado, forse qualcuno di grado più lontano, ma cresciuti insieme, vicini in ogni ricorrenza. Come una grande famiglia. Morti i loro genitori, compresi i miei, le nostre strade si sono divise e tutto quanto di bello e di buono avevamo profuso all’interno della famiglia, è andato sprecato. Disperso.
Abbiamo permesso ai nostri sentimenti di languire, come foglie marcite ai limiti di un pantano, anziché continuare ad alimentarli con la tenacia dell’affetto e della comprensione per le reciproche debolezze.
E l’odore esalato da quel pantano ha fatto si che le nostre esistenze si allontanassero le une dalle altre, come binari mai percorsi dallo stesso convoglio.
Adesso, eccoli qui, davanti a me, tutti un poco più vecchi di come li ricordavo. Forse qualcuno di loro, mi auguro, un poco più saggio.
Nessuno grida più. Sento i loro passi mentre si avvicinano in silenzio. Posso quasi sentire i loro pensieri. Fantasticare sulle loro considerazioni.
In ognuno di loro ravviso sentimenti diversi, di rammarico, di tristezza, di dispiacere, forse anche di pietà. Chissà, in momenti come questi….
Riesco persino a immaginarli tesi nello sforzo di ricercare, tra le pieghe della loro coscienza, sotto gli strati di rancori mai del tutto dimenticati, tracce di quell’affetto che ci aveva unito un tempo.
Qualcuno, sono in quattro, se non sbaglio, si fa largo tra di loro, con modi adeguatamente dolenti e nel frattempo professionali. Vestono abiti impeccabili, rigorosamente scuri.
I miei parenti, tutti, si spostano, fanno ala.
Augusto piange, Ornella singhiozza, Emma si soffia con discrezione il naso e Carlo continua a sentirsi fuori posto.
Forse il loro dolore è autentico, o forse no. Comunque è troppo tardi, troppo tardi per tutto. Le cose rimaste incompiute probabilmente continueranno a perseguitarli.
Ed è tardi specialmente per me, per scoprire quanto mancherò loro.
Chiudete, chiudete pure.
Le viti sfrigolano, entrando lentamente nel legno, lucido e intagliato con cura.
L’ultima eco del mondo che lascio.
ANNALI
Ultima modifica di Annali il Ven Dic 16, 2016 2:51 am - modificato 2 volte.
Re: Chi scrive e chi legge
ASPETTANDO GODOT
Dicevamo della tristezza? No, no, fa venire le rughe al viso! Meglio sorridere, anzi ridere! Che ne dice?
Da un po' non mi faccio viva con Lei, è vero,ha ragione! Avrà mica sofferto per la mia assenza? Sì? Ne sono felice....arg.. mi scusi, non dovrei essere felice della Sua (im)-probabile sofferenza, insomma, voglio dire, se a qualcuno sono mancata, e giusto a Lei, mi sento un pochino rianimata....risollevata, un sacco di ri...ri...ecc.
Forse la metto in confusione con le mie chiacchiere bizzarre! che parti il disco mentre mi ri-assetto...
Buonanotte e....A presto Monsieur Godot!
Re: Chi scrive e chi legge
ASPETTANDO GODOT
Ho fatto un salto nel passato, non tanto lontano però:nemmeno diciotto mesi trascorsi. Eppure mi sembrano tanto distanti, quasi non abbiano fatto parte del mio vissuto. Ero, stasera, ritornata "là", giusto per vedere "com'ero, come eravamo", scoprendo con sorpresa quanto di me vi avevo lasciato.
Del tempo trascorso in "compagnia" di pensieri astratti, come la persona alla quale li dedicavo, magari qualche stralcio (sarà un'idea bislacca?) ne riporto qui poche righe, riavvolgendo il filo di un discorso interrotto...
Dedicato all'amico mio invisibile
E' qui, in quest'angolo dedicato a Lei, Monsieur Godot, che potrei dare il meglio della serata.
So che non verrà, nè stasera nè mai,ma mi conforta sapere che almeno Lei è una figura astratta, e me ne faccio una ragione.... è di chi astratto non è eppure latita alla grande, che di ragioni non ne trovo.
Forse mi è difficoltoso capire i meccanismi bizantini che stanno all'interno, riesco a capire meglio i richiami che provengono dal cestino della carta...
Fra le righe potrebbe nascondersi un significato, fra le parole c'è posto per qualcosa di più: il pensiero....
Buona notte Monsieur Godot, lo so, non sono stata tanto di compagnia!
Spesso è necessario riflettere per cercare il motivo sul perchè ci sentiamo allegri, ma sappiamo sempre il perchè siamo tristi.
Re: Chi scrive e chi legge
I SEGRETI DI DANTE
Dante Alighieri conosceva il moto di processione degli equinozi che Ipparco da Nicea aveva scoperto nel II secolo a.C., anche se nella Divina Commedia il suo nome mai è menzionato.
Il geniale astronomo dell’antichità fu il primo a supporre la teoria eliocentrica, ma fu solo quando Tolomeo raccolse tutte le informazioni dell’astronomo precedente a lui di quattro secoli, riportando nell’Almagesto le scoperte più clamorose, che si conobbe il catalogo delle costellazioni, delle stelle, il significato di parallasse, le spiegazioni delle eclissi di Sole e di Luna.
Solo attraverso l’analisi testuale dei passi a carattere astronomico è chiaro che Dante, in ambito scientifico conoscesse più di quanto la cultura dell’epoca imponesse.
Con la traduzione dell’Almagesto, il Sommo Poeta conobbe la precessione equinoziale, il procedimento nella Comedìa (questo il titolo originale) è più che costruttivo: l’iter del Pellegrino si svolge ai fini della salvezza, un iter astronomico che canto dopo canto, Cantica dopo Cantica, è una traccia, un invito per il lettore a scoprire interpretare, capire, il potere astronomico che Dante vuol tramandare. Rivolgendosi direttamente alle stelle per permettere a chiunque di raggiungere la strada tracciata dagli astri e arrivare alla salvezza dei peccatori.
Dante, dunque, dà segno di conoscere l’asse terrestre, che ruota e genera il cono rovesciato, come immagina l’Inferno, una voragine il cui vertice è il centro della Terra.
Conosce la Stella Polare, conoscendo l’asse terrestre, che rispetto al Polo dell’eclittica ha un’angolazione pari a 23°, 5 e punta proprio su di essa.
Si deduce, così, che la struttura dell’Inferno corrisponda esattamente allo schema geometrico della precessione assiale della Terra, impiegato da Dante allo scopo di fondare tutta la cosmologia e l’impianto stesso del poema sulla precessione equinoziale.
Riguardo alla storia umana le assegna il periodo di 26.000 anni, la cui ricostruzione è possibile rilevare raccogliendo le informazioni da determinati canti. Nel XXVI canto del paradiso Adamo afferma di essere rimasto nel Limbo per 4302 anni, dopo aver visto il Sole ripercorrere la strada che esso compie in un anno, ritornando a tutti i segni dello zodiaco 930 volte. Nel canto XXI dell’Inferno, il diavolo Malacoda spiega fossero trascorsi 1266 anni da quando era crollato il ponte della VI° bolgia, a causa del terremoto che scosse la Terra nell’ora della morte di Gesù.
Nel Purgatorio, nei versi di Dante appare il pianeta Venere: “ Lo pianeta che d’amor conforta/ facea tutto rider l’oriente / velando i Pesci ch’eran in sua scorta”. Il riferimento è alla costellazione dei Pesci contenente all’interno una nebulosa a spirale (M74).
La visione di Venere all’alba è astronomicamente esatta: la plaga celeste ride, è primavera, il Purgatorio è la promessa del perdono.
La sera è ormai giunta e gli occhi del poeta si rivolgono di nuovo al cielo e guarda incantato le tre stelle nella cintura di Orione: Al-Nilam, Al-Nitak e Mintaka, tre astri che illuminavano tutto il Polo.
L’uomo ha sempre puntato lo sguardo affascinato verso il cielo, ma Dante va oltre, le sue conoscenze astronomiche sono mediate dalla costante ricerca di riunire insieme tutte le discipline. All’interno della Comedia non c'è soltanto la Poesia, la Filologia, la Teologia. L’Astronomia è il collante fra tutte, prova ne è che ogni Cantica termina con la parola "Stelle".
Nell’Astronomia Dante cerca esattamente ciò che chiede alle altre discipline: un’unità di sapere che non può rimanere disgiunto, perché ogni facoltà ne richiama un’altra nell’infinito dell’Universo.
Nella Divina Commedia ha criptato tutto il suo sapere astronomico, per non finire nella rete di una cultura che a quel tempo si voleva povera e limitata.
Re: Chi scrive e chi legge
I SEGRETI DI JULES VERNE
Negli spazi aerei di tutto il mondo nel 1886, luci misteriose appaiono nel cielo, strane bandiere nere punteggiate di stelle, con un sole dorato al centro, un fermento d’incredibili fenomeni e squilli di trombe.
Uno dei tanti viaggi straordinari raccontati da Jules Verne inizia cosi, pubblicato in Francia con il titolo: “Robur, il conquistatore”.
La scena, dopo un brillante incipit satirico, dove due gentiluomini, un americano e uno inglese, dopo un’accesa controversia si spostano al raduno di scienziati intenti a discutere un dettaglio fondamentale di un loro progetto, un dirigibile chiamato Goahead: i propulsori vanno posti a poppa oppure a prua? Si fa avanti un certo Robur, che provoca gli autorevoli accademici schernendo la loro convinzione per cui le macchine volanti debbano essere per forza più leggere dell’aria. In quell’epoca, il dibattito sulle ipotetiche macchine volanti più pesanti dell’aria era molto acceso.
Robur dichiara di aver compiuto la conquista dell’aria con un apparecchio più pesante di essa e di essersi quindi nominato “Conquistatore” a ragion veduta, fa infuriare talmente tanto gli scienziati che questi lo inseguono all’esterno, dove lui sparisce nel nulla.
Tornerà a tarda notte per rapire alcuni membri dell’istituto portandoli poi a bordo del suo “Albatros”, uno sconvolgente enorme elicottero con diversi rotori orizzontali e verticali. È un grande veliero con decine di eliche al posto delle vele, decorato con le bandiere nere con le stelle e il sole giallo, proprio la fonte misteriosa delle luci apparse nel cielo all’inizio del romanzo. Uno degli uomini dell’equipaggio suona la tromba.
Il viaggio sarà denso di rocambolesche avventure, inganni, esplosioni, battaglie aeree.
L’avventura abbonda, così come una certa satira nei confronti della comunità scientifica, spesso capace, pur di non intaccare le proprie convinzioni, di negare ciò che vede con i propri occhi.
Dieci anni dopo la pubblicazione del romanzo, si verificò un’ondata di avvistamenti UFO.
Furono battezzati “velivoli misteriosi” o “ velivoli fantasma”. Erano simili a sigari, specie di dirigibili ma assai più veloci, con strane luci.
I giornali di ogni parte degli Stati Uniti ne parlarono, sono stati contati più di 1500 articoli riguardanti il fenomeno “macchine volanti”.
Giulio Verne, con il suo “Robur” era stato l’iniziatore di un’era? Come poteva possedere tanta inventiva da precorrere i tempi delle invenzioni?
Re: Chi scrive e chi legge
Pensieri in libertà
Momenti di una notte che si trascina lenta nel silenzio. La stanza è ormai divenuta fredda, e una moltitudine di presenze invisibili irrompe nei miei pensieri. Se ne impossessa, li fa suoi, ed io sono troppo stanca per oppormi alla sgradita intrusione.
Stasera, no vi prego, lasciate che i pensieri scorrano alla ricerca di momenti felici.....
Devono pure essercene! Magari un po' indietro nel tempo, alla prima rosa bianca ricevuta dal ragazzo dei miei sogni, quello che mi ha portato nell'ora del tramonto del Sole, di un giorno lontano, al castello di San Giorgio. (MN)
Che pensiero, ricordo avere avuto allora: “Il principe mi ha portato al castello!”
Eh! Già! noi femminucce vestiamo sempre il nostro " lui" con i panni di un principe.
Il guaio è che crescendo rimaniamo della stessa idea e talvolta ne rimaniamo deluse.
In ogni modo la storia non ha avuto un epilogo felice, non c’è stato un seguito. Il cavaliere nero se l'è portato via, quel mio bel principe.... ed era ancora nel fiore della sua giovinezza...
Mi è rimasto un solo il ricordo di quel momento, una rosa bianca chiusa tra le pagine di un diario ingiallito.
Altri momenti di ragazza felice? dove siete andate tutti? Siete lì, nascosti, velati, avvolti dalla ragnatela che il tempo tesse senza sosta, inarrestabile.
Ditemi di un momento felice....
Niente, stasera la mente rifugge, si fa sorda, lontana. Forse non è in pace con se stessa. Ricorda solo momenti che felici non lo sono per niente. Devo cominciare a pensare che non mi appartengano? che siano accaduti a qualcun altra e non a me?. Eppure, no, devo avere momenti da ricordare con gioia!.
" Non stasera", ammonisce la voce dentro di me
" Chi sei tu, per rubarmi i miei pensieri felici? Ne ho bisogno...."
"Perchè proprio stasera? Che c'è di diverso?" La voce si fa fredda e ostile.
"Non t'ìmpicciare" vattene subito e lasciami in pace! Rivoglio i miei ricordi felici!" Una lacrima mi scorre sul viso, un'altra si affaccia tra le ciglia.
Allora un soffio gentile mi giunge all'improvviso, disperdendole prima che divengano un fiume in piena. Un refolo mi scompiglia un ricciolo che ricade sulla fronte.
Adesso la voce è intrisa di dolcezza " Li hai avuti i tuoi momenti felici, ma stasera sei troppo triste e non riesci a ricordarli. Non si possono mischiare i ricordi, non potresti più separarli: per ogni ricordo felice, alla mente se ne affaccerebbe uno triste".
E'così dunque? devo fare posto alla tristezza? Ma perché devo essere per forza triste?
"Non lo sai?"
"Lo so. Ma non vorrei esserlo... "
La voce non insiste, mi lascia sola ed io tremo, non di freddo, ma di solitudine.
Ora che la voce tace il silenzio mi opprime, la lacrima non più trattenuta rotola sul viso, mi scivola sulla mano e resta immobile, splendente, come una goccia di puro cristallo.
Re: Chi scrive e chi legge
Polvere di LUNA
Abitava in uno splendido palazzo, contornato da un giardino lussureggiante e amata da tutti gli abitanti della corte. Si chiamava Celeste e tale nome le si addiceva, tanto per la sua bellezza diafana, quanto per gli occhi che aveva più azzurri del cielo. Non usciva mai dalla sua stanza, situata nell’ala più alta del palazzo. Non aveva il permesso di farlo, essendo i genitori assai timorosi ed eternamente preoccupati dei pericoli che avrebbe potuto incontrare fuori dalle mura protettrici.
Celeste, ogni sera, si poneva alla finestra e sospirava osservando la Luna che, da lassù, in alto, sembrava osservarla a sua volta con un accenno di sorriso sul faccione lattiginoso. Quando era nel pieno della sua fase, era tanto prossima a sfiorare l’alta torre del palazzo, che Celeste tendeva la mano nel fanciullesco tentativo di imprimervi il suo calco. Cosa, che ovviamente, non poteva succedere.
Una sera, un giovane giardiniere, segretamente innamorato di lei, fu scoperto dalla fanciulla mentre si sporgeva incautamente dalla siepe in cui si appostava ogni sera, per avere una più ampia visione dell’amata.
Dapprima Celeste, scorgendolo, si ritrasse spaventata, poi ci ripensò e decise d’interpellare il giovane sconosciuto.
“ Chi sei, tu che ti celi tra i rami dell’albero?”
Il giovane fu pieno di timore pensando alla punizione che avrebbe ricevuto per la trasgressione commessa. Per ordine del Signore di palazzo, nessuno poteva, infatti, intrattenersi sotto la finestra della fanciulla. Urgeva lavorare di fantasia sfruttando a suo vantaggio l’attrazione che sapeva dell’amata per la Luna.
“ Sono un viaggiatore dello spazio, provengo dalla Luna per recuperare alcuni suoi raggi scivolati e trattenuti nel laghetto”.
Celeste osservò la superficie increspata del lago che s’intravvedeva oltre il giardino e costatò che effettivamente il chiarore lunare lo illuminava con larghi cerchi concentrici.
“Ecco !” esclamò “ Li vedo ora. Ma come farai a riportarli lassù?” chiese non senza una nota di dubbio nella voce.
“ Non mi è difficile farlo, sono impregnato di polvere di Luna che mi agevola nello spostamento, è una polvere speciale che mi permette di muovermi in ogni direzione quando devo seguire l’astro nel suo spostamento nel cielo”.
Celeste sgranò gli occhi a quella rivelazione: “ Polvere di Luna? Oh! Saresti così gentile da donarmene un poco? Vorrei anch’io poter volare fuori da questa stanza dove passo tutto il mio tempo. Vorrei vedere il mondo, la Luna da vicino e magari anche qualche stella”.
Il giovane, colto di sorpresa, lì per lì non seppe come rispondere, ma poi, essendo dotato di molto spirito inventivo seppe trovare la risposta giusta.
“ Lo farei volentieri anche subito, ma prima devo adempiere il mio compito e se ti donassi un po’ della polvere che mi permette di volare stasera, non sono sicuro di riuscire a raggiungere la Luna, che come ben conosci, è assai distante”.
“Ma poi ritornerai non è vero? Magari potrei accontentarmi di poca polvere, anche se non potrò volare in alto almeno contemplerò da vicino lo splendore della Luna.”
“ Lo farò, te lo prometto, alla prossima Luna piena tornerò da te e ti donerò tutta la polvere che riuscirò a trattenere nelle mani.”
Celeste attese che il giovane ritornasse, come promesso, ogni sera affacciata alla finestra, aspettando paziente che la Luna si mostrasse di nuovo in tutto il suo splendore.
Infine, una sera, uno schiocco tra i rami nel giardino segnalò la presenza di qualcuno appostato.
Si sporse piena di speranza e lo vide: era proprio lui! Era ritornato per adempiere la promessa.
“ Guarda!” disse mostrando le mani impregnate di polvere bianca, trasparente come cristallo di rocca, quale, in effetti, poteva essere.
“Ora, come faccio a donartela?” Era davvero un problema insormontabile: lei era lassù, nell’alta torre, dove lui non sarebbe mai potuto salire.
“Scendo io, per una volta posso trasgredire, poiché non oltrepasserò le mura del palazzo.”
Così fece, sorprendendo le guardie che non osarono contrastarla.
Nel giardino trovò il giovane e le loro mani si unirono. La polvere passò nelle mani di Celeste che rimase estasiata a contemplarla con occhi lucenti.
Il rumore di passi affrettati poco distanti, fece dileguare il giovane in un batter d’occhio, per evitare il castigo stabilito per i trasgressori, mentre Celeste si lasciva ricondurre nell’alta torre, sua dimora permanente, nascondendo le mani alla vista di chiunque l’avvicinasse.
Evitò di lavarsi e di toccare ogni cosa, e per notti e notti, attese il ritorno del giovane, senza sapere che le guardie lo avevano sorpreso nel giardino e rinchiuso nelle segrete del palazzo.
La Luna poi, era sempre nascosta dietro le nuvole che ogni sera si addensavano nel cielo.
Riapparve molto tempo, la sera in cui rivide anche il giovane. Aveva terminato di scontare la sua pena, e allora lei incurante, corse a perdifiato giù per le scale a incontrarlo, inseguita dalle grida della sua ancella.
Lui non era più cosparso di polvere di Luna, se n’era andata nei lunghi giorni di prigionia trascorsi nelle segrete buie e umide.
Lei lo toccò con le sue mani ancora cosparse della polvere magica e fu allora che lui si dissolse davanti ai suoi occhi. Sgomenta, alzò gli occhi al cielo cercando una spiegazione. Un brillio improvviso l’accecò per qualche istante. La Luna rifletté il suo splendore nel laghetto, dove rivide il giovane. Corse verso di lui ed entrò nel lago. L’acqua la ghermì e l’attirò nel cerchio gelido del riflesso lunare. Osservò le mani. Niente più polvere, solo un richiamo lontano proveniente dal fondo. Chiuse gli occhi e si fece sopraffare dal torpore che l’invase.
Si risvegliò con un lungo sospiro, convinta di essere di essere morta. Accanto a lei c’era il giovane intento a rianimarla. Non seppe darsi una spiegazione a quanto era accaduto.
“Che cosa è successo?” Chiese non ancora pienamente cosciente. “ E la polvere di Luna? Oh! Povera me! Tutto inutile… se n’è andata.”
Guardando gli occhi innamorati del giovane davanti a sé, capì quanto poco importante fosse qualunque cosa che non sia l’amore. Desiderava la polvere di Luna solo perché, chiusa nella sua solitudine la giudicava irraggiungibile.
“ Era solamente polvere,” le sussurrò il giovane “ Vieni con me e coronerai ogni sogno. La Luna ci rischiarerà il cammino”.
E la Luna, dall’alto, sorrise osservando la scena. Scosse il suo manto e li inondò di polvere d’argento.
Annali (Favola senza Tempo).
Re: Chi scrive e chi legge
Da ragazzina seguivo mia sorella maggiore in biblioteca, dove, settimanalmente, prelevava nuovi libri da portarsi a casa. Prediligeva romanzi “rosa”, ma non di rado la sua scelta ricadeva sui “gialli”. Piacevano pure a me questi ultimi e devo dire che ancor oggi i thriller sono quelli che preferisco. Gli autori di quel tempo non li ricordo tutti, però di uno in particolare ne ho ricordo netto, Giorgio Scerbanenco, scrittore e giornalista di origine ucraina (Kiev, 28/7,1911- Milano, 27/10,1969). Nel rileggere oggi i suoi romanzi è possibile cogliere uno spaccato netto dell’Italia di quegli anni ’60, contraddittoria, dolce-amara, ansiosa d’emergere sull’onda del boom economico.
Per vincere inverno e solitudine – il Cinquecentodelitti
Erano già pronti, il padre col paltò, la sciarpa bianca e le scarpe di vernice. La madre con la pelliccia, la trousse con i diamantini, le calze velate con i disegni, pesanti, azzurrognoli, delle vene che trasparivano. Il tassì aspettava sotto il portone, sotto la neve che continuava a cadere, sotto l’ombra spettrale dei rami degli alberi secchi e gommosi del fuligginoso grasso che era nell’aria. I termosifoni erano freddi perché la caldaia dell’impianto centrale si era guastata, ma loro non se ne accorgevano incaloriti dall'andare all’importante pranzo cui erano stati invitati.
“fai la brava”disse il padre, pensando anche al tassametro del tassì che attendeva.”sei grande, non devi aver paura di rimanere sola”.
“Noi andiamo, se non dormi, peggio per te!”, disse la madre, spense la luce e uscì dalla camera. Dal suo letto, singhiozzando, la bambina udì i loro passi, i due giri di chiave nella serratura.
Giorgio Scerbanenco
Chi scrive e chi legge
W.H. Auden – Funeral Blues
Wystan Hugh Auden (1907-1973), poeta e drammaturgo inglese, è stato uno degli scrittori più interessanti del Ventesimo Secolo. Tra il 1928 e il 1929 agli albori dell’avvento del Nazismo, si trovava a Berlino e al suo ritorno e sino al 1935 insegnò in scuole secondarie. Auden, insieme con altri intellettuali marxisti, partecipò alla guerra civile spagnola come autista d’ambulanza, riversando nel superbo poema politico “Spagna” la sua angoscia presente e le sue speranze per il futuro. Nello stesso anno, pubblicò la raccolta poetica “Guarda straniero!”, dedicato a Erika Mann, figlia del grande scrittore tedesco Thomas Mann, che nel 1938 aveva sposato in Germania, per consentirle con un passaporto britannico la fuga dal Nazismo.Nel 1946 prese la cittadinanza americana, dando una svolta ideologica alla sua vita. In America si dedicò a temi di metafisica e confusa religiosità, stemperando il tono poetico e l’ispirazione con vivacità di figure retoriche dal virtuosismo elaborato. Questa produzione, fu molto apprezzata dalla critica americana, tanto da tributargli il conferimento nel 1948, del premio Pulitzer. In quel periodo scrisse le raccolte poetiche “Un altro tempo” (1940), “Lo scudo di Achille” (1955) e “Città senza muri ” (1969), l’oratorio “Per il tempo presente” (1945). Innamorato della musica e del linguaggio, era convinto che l’uomo crei la storia e non possa ripetere il passato né lasciarselo alle spalle. Auden ha scritto una delle più belle e note poesie d’amore “Funeral blues”, recitata nel film inglese “Quattro matrimoni e un funerale” (1994), durante l’elegia funebre di Charles per la morte dell’eccentrico compagno Gareth:
“Fermate tutti gli orologi isolate il telefono…
portate fuori il feretro… Lui è morto
Allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni…
Lui era il mio nord, il mio sud, il mio est e ovest,
la mia settimana di lavoro il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto.
Pensavo che l’amore fosse eterno e avevo torto.
Non servono più le stelle, spegnetele anche tutte,
imballate la luna, smontate pure il sole…
perché ormai nulla può giovare. “
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